A cura di Nicola Marini.

 

 

Il compito di un powerlifter è all’apparenza semplice: esprimere forza su una linea.
Linea che dovrebbe teoricamente rimanere tale per tutta la lunghezza della fase concentrica.

A differenza di un pesista ad esempio, un powerlifter non ha il problema di doversi preoccupare di trovare nuovi punti di equilibrio ad ogni variazione della posizione del bilanciere in relazione alla posizione del corpo dell’atleta stesso : https://www.youtube.com/watch?v=FXQq8xwb7k8 .

Ciò porterebbe ad affermare, in maniera abbastanza intuitiva, che le richieste a livello di coordinazione per un powerlifter siano modeste, ma ciò è vero fino ad un certo punto. Anche un movimento semplice può diventare estremamente difficile se la centralina viene messa sotto stress elevato da parte di un elemento esterno. In questo caso, l’elemento esterno è IL CARICO!

Più il tempo passa, più mi rendo conto che l’entusiasmo per il mondo della forza non invecchia mai. Ho la fortuna ed il piacere di allenare molti ragazzi, e tutti sono arrivati da me con un unico obbiettivo : diventare forti! Non necessariamente nel powerlifting (anche se, per la verità, molti mi contattano proprio per questo) , ma sicuramente tutti riconoscevano il valore intrinseco dell’idea di forza, dell’essere forti.

Essere forti dunque cosa significa? Si limita a questo?

Un lottatore non è forte? Un rugbista? Ed un velocista?

Su una cosa non ci sono dubbi, ciò che differenzia questi soggetti è ciò in cui sono specializzati. Ma sicuramente qualcosa li accomuna. Per comprendere cosa, mi sono chiesto, se potessimo raschiare via da questi atleti le loro abilità specifiche, che cosa resterebbe? E mi sono risposto così.

A. Coordinazione Motoria. Sicuramente avremmo soggetti dalle grandi abilità coordinative.

B. Reattività . Troveremmo altrettanto sicuramente soggetti dotati di una capacità di accelerare un oggetto, oltre la media.
Mi sono quindi detto ok, queste sono due abilità di base utili, indispensabili a tutti e 3 i nostri atleti immaginari : il rugbista, il lottatore ed il velocista. Il loro denominatore comune!

Ma subito dopo sono sorti inevitabilmente altri quesiti riguardo il MIO sport: ad esempio, nel powerlifting ci curiamo abbastanza di allenare in modo specifico queste abilità? E soprattutto, c’è altro di utile che dovremmo considerare?
Ragionandoci sopra, mi sono preso la libertà di aggiungere alla lista una terza abilità di default, indispensabile da considerare per chi lavora con i sovraccarichi: la capacità di stabilizzare un carico!

C. Stabilizzazione del gesto sovraccaricato. Farci cioè perturbare il meno possibile dai feedback che ci da il carico sul bilanciere durante l’alzata. Lo facciamo? Alleniamo specificamente questa capacità?

Beh, se sono qui a scrivere è perchè forse, nel nostro ambiente, si potrebbe fare di meglio.

 

 

Ritengo che nel quadro evolutivo di un atleta queste abilità dovrebbero essere le primissime a venire curate; nel primo periodo in modo generale, in maniera tale che il nostro atleta in erba possa essere in grado di esprimerle in OGNI gesto atletico che possa compiere. Nell’andare del tempo, poi, dovrebbero essere considerate all’interno della programmazione SPECIFICA, cioè come accelerare, coordinare, e stabilizzare al meglio uno squat, una panca od uno stacco. Oggi in questo articolo parleremo del primo step, cioè curare queste abilità in modo aspecifico e generico per renderle disponibili ad essere utilizzate in qualsiasi circostanza, e prenderemo inoltre familiarità con il loro significato nell’ambito del nostro sport!

Prendiamo ad esempio gli atleti più giovani che ho a disposizione, cioè i miei subjunior (atleti di età minore di 18 anni) , in una torta di allenamento ad esempio, il:
-60% è lavoro sport-specifico. Squat, Panca, Stacco.
-10% è lavoro prettamente muscolare.
-30% è lavoro su Coordinazione, Accelerazione, Stabilizzazione.

 

COORDINAZIONE

Il requisito fondamentale, quello che ci permetterà di far si che quel segmento su cui dobbiamo esprimere forza rimanga tale, e non diventi una curva. Il termine coordinazione è però per noi un po’ troppo generico.
Molto meglio parlare di “percezione di noi stessi all’interno dello spazio” ovvero di propriocezione. 
Quasi tutti i gesti che compiamo nel quotidiano richiedono propriocezione, e se qualcuno sta pensando che per migliorare tale abilità sia sufficiente rimanere ben concentrati durante un movimento si sbaglia, il nostro SNC capta ed integra una quantità enorme di informazioni dal mondo esterno e solo una piccola parte di queste arrivano alla nostra corteccia (a livello cosciente) molte altre si fermano prima.

 

 

Basti pensare al fatto che se vi chiedessi di toccarvi le labbra con la punta del vostro indice, per farlo non avreste bisogno di pensare prima al fatto che le labbra si trovano a 2 cm al di sotto del vostro naso ed altri 3 al di sopra il vostro mento. Le tocchereste e basta.
D’altro canto, chiunque sia abituato ad allenarsi filmandosi saprà di certo che a volte capita che quella che credevate essere un’alzata pulita e senza troppe sbavature finisca per rivelarsi un movimento scomposto ed inefficace. Tutto ciò dimostra 2 cose:

1. Le abilità coordinative sono in parte qualcosa di conscio ed in parte no.

2. Queste abilità possono essere falsate da stimoli esterni.

Appurata l’importanza di riuscire a coordinarsi nel nostro sport, da dove cominciare per migliorare quest’abilità?Prima di tutto scegliendo uno strumento difficile da gestire, ad esempio una kettlebell !

Secondo passo, selezionare un carico non eccessivamente impegnativo (non in grado quindi di falsare in modo eccessivo la nostra percezione motoria), ed infine compire un gesto motorio più o meno complesso a seconda del nostro livello di partenza.

Si può iniziare da dei semplice goblet squat, oppure da dei press con la kettlebell, fino ad arrivare ad eseguire movimenti più complessi come i Turkish get up.
Maggiore sarà il numero di volte in cui il nostro strumento cambierà il suo orientamento nello spazio, maggiori saranno le volte in cui saremo costretti ad imprimere forza in direzioni diverse!

Inutile dire che per rendere il tutto più difficile nel corso del tempo, sarà imperativo imparare a gestire carichi via via più elevati, applicandosi in esercizi sempre più complessi.

 

ACCELERAZIONE o reattività

E’ forse il concetto più delicato tra tutti, visto che si presta benissimo ad interpretazioni e fraintendimenti. Un concetto che all’apparenza sembra così semplice e pulito che molti potrebbero dire “ok, è importante essere in grado di accelerare un carico? quindi se devo staccare un bilanciere da terra vado li e ci imprimo contro la massima forza nel più breve tempo possibile.” .
Purtroppo non è così!
In primis perchè così facendo sarebbe molto semplice perdere le nostre abilità coordinative citate sopra, ma non solo.

Nello stacco da terra, ad esempio, la partenza è il punto critico dell’alzata. E’ il momento in cui si deve vincere l’inerzia del bilanciere, anche ipotizzando di riuscire a rimanere su quella famosa linea che le nostre abilità coordinative ci permetterebbero di mantenere, esprimere la massima forza nel più breve tempo possibile, non è la più saggia delle idee per varie ragioni. Il nostro corpo non avrebbe infatti la possibilità di capire cosa stia succedendo, tutta la muscolatura si irrigidirebbe e si metterebbe in tensione in modo repentino, inviando segnali di pericolo a sistemi di controllo quali, organi del Golgi e fusi neuromuscolari. I quali comunicherebbero a livello centrale che è il momento di difendersi da quello stimolo esterno!

 

 

Il nostro corpo assumerebbe quindi
1. Una posizione di protezione GLOBALE : le spalle si anteriorizzerebbero eccessivamente fino a cifotizzare anche il rachide lombare.
2. Lo stesso non sarebbe in grado di stabilizzare il bacino dietro la spinta delle gambe.
3. Finiremmo per lasciare il carico a terra, oppure ancor peggio farci del male.

Il nostro fisico ha un tempo fisiologico di attivazione prima di poter raggiungere il massimo gradiente di forza esprimibile in un punto, e questo tempo non è pari a ZERO. Per questo partire in maniera scattosa, risulta del tutto antifisiologico, non permettendo a tutti i muscoli che devono intervenire all’interno di un’alzata di raggiungere una soglia ottimale di attivazione per produrre la forza massima, utile nel movimento.

Quindi accelerare si o no? Si. Ma al momento giusto. Cioè (nello stacco) quando i muscoli sono stati messi in tensione con il timing corretto, il bilanciere ha già sviluppato uno stato di moto e l’inerzia è stata vinta. Come descritto sopra, per poter sfruttare al meglio quest’abilità è d’obbligo conoscere nel dettaglio le alzate su cui si lavora. Oggi però, non siamo qui per parlare di questo. Oggi siamo qui per capire come e quanto serve accelerare di più!

Questa introduzione è stata necessaria anche per giustificare il motivo per cui non amo utilizzare i sovraccarichi per lavorare su questa abilità, proprio perchè si rischia di cadere in errori banali che porterebbero a mettere a rischio la propria salute. Meglio avvalersi ad esempio di strumenti come elastici per fornire una resistenza omogenea nella direzione che desideriamo, oppure optare per lavori pliometrici. In questo caso si possono sfruttare piegamenti contro resistenze, box jump, scatti su brevi distanze, meglio se sotto i 100 m , anche 70 per i nostri scopi vanno più che bene.

 

CAPACITA’ DI STABILIZZAZIONE

L’ho tenuta per ultima solo perchè per comprendere fino in fondo l’importanza di questa abilità, è necessario aver almeno chiaro il quadro generale delle caratteristiche delle 2 precedenti. 
La difficoltà nello stabilizzare un carico è sotto gli occhi di si allena, quasi ogni giorno; ed è il motivo per cui fare uno squat ad un multipower risulterà per un principiante, infinitamente più semplice rispetto a fare uno squat libero.

Su di un multipower il carico è già stabilizzato! non si muoverà da quella linea, qualsiasi cosa noi faremo. In uno squat libero il bilanciere è invece disponibile a muoversi in tutti e 3 i piani dello spazio, ed andrà per questo motivo, stabilizzato.
Quali sono, quindi, i fattori ad incidere su questa capacità? In primo luogo quello che comunemente chiamiamo il core! Per core intendiamo un gruppo di muscoli (retto addominale, obliqui interno ed esterno e trasverso) che lavorando nelle alzate di gara in modo isometrico: 
permettono il mantenimento delle curve del rachide durante l’alzata; assicurando prima una posizione efficiente, ma anche, nel caso si finisse fuori spinta, di chiudere l’alzata senza cedere ad input di protezione nei confronti del carico, quindi senza il problema di attivare la cascata di eventi che abbiamo visto prima parlando del nostro stacchista frettoloso.

E’ inevitabile che per allenare questi muscoli sia preferibile utilizzare esercizi e varianti in cui questi lavorino in modo analogo alle alzate di gara, quindi in isometria! Sarà la scelta degli angoli di lavoro a fare la differenza, visto che dovranno essere adeguati a mettere sotto stress ciò che ci interessa allenare.

Ben vengano quindi good morning con bilanciere, rumenian deadlift, ab roller (anche con sovraccarichi), ma soprattutto credo fermamente sia utile, ciclizzare nella programmazione l’uso della cintura! 
Questo non tanto per una questione di allenamento del core in se, quanto perchè è indispensabile imparare ad utilizzare efficacemente tutti questi muscoli nelle alzate di gara!

Spesso un uso eccessivo della cintura da palestra può portare nel tempo ad affidarsi sempre di più a lei dimenticandosi, ad esempio, di cercare attivamente di gonfiare la pancia, o finire per dimenticare tutte quelle sensazioni positive che derivano da un ottimo controllo addominale.
Come ad esempio la sensazione di incastro dell’addome contro l’anca in buca nello squat.

 

PROGRAMMA PROPEDEUTICO

Visto che, più che mai parlando di questo tipo di allenamento, la soggettività di un atleta è il parametro primo da rispettare, scrivere un programma di allenamento che tornasse utile su larga scala non è un compito semplice, ho deciso di strutturare una tabella di 4 settimane che serva più che altro a far capire come dovrebbe evolversi nel tempo questo tipo di allenamento, in che modo bisognerebbe scegliere di mischiare le carte in tavola settimana dopo settimana in ogni variante, e soprattutto attraverso quali metodi è possibile allenare più abilità complesse con un solo esercizio.

Questo programma è pensato per un principiante, che abbia già masticato un po’ i sovraccarichi nel suo curriculum sportivo, ma che sia ancora agli albori del suo percorso.

Da ripetere 2 volte a settimana.

 

[wpsm_comparison_table id=”7″ class=””]

 

I Goblet Squat ad alte ripetizioni la prima settimana ci permettono di prendere confidenza con il movimento ed imparare a controllare e stabilizzare il sovraccarico, scegliamo ovviamente un peso medio basso con cui possiamo lavorare agevolmente.

Nella seconda settimana le ripetizioni si abbassano, i carichi salgono ma il volume di lavoro rimane sufficientemente elevato da permetterci di condizionare il nostro corpo.

Nella terza settimana torniamo al carico della settimana 1, alziamo nuovamente le ripetizioni, ma aggiungiamo la resistenza di un elastico, che può essere collocato sotto i piedi e dietro il collo. Qui oltre a migliorare le nostre capacità coordinative aggiungiamo una maggior richiesta di accelerazione del carico.

Il passo successivo nella quarta settimana sarà quello di imparare a gestire carichi più elevati riuscendo a vincere la tensione progressiva della band elastica.

I Piegamenti svolgono una funzione analoga a quella dei goblet squat ma, questa volta per l’upper body, il sovraccarico con il fermo in basso nella seconda settimana e la band elastica nella terza e nella quarta, saranno elementi di difficoltà aggiuntiva che uniranno richieste di tipo coordinativo, di stabilizzazione ed accelerazione del carico.

I Good Morning sono ottimi per iniziare a costruire un core performante, soprattutto nella variante dai pin con salita lenta. Questo per diversi motivi, il primo dei quali è che abitua il nostro corpo a percepire tensione in punti che, durante le alzate di gara sono sempre sotto forte tensione (rachide lombare, glutei, femorali) e soprattutto la fa percepire in modo prolungato (salita in 6s) ma incostante, visto che nel fermo sui pin, si perde per un attimo la tensione.
Questa perdita momentanea della tensione sul pin, abitua il corpo (in maniera sicura) a ricercare questa stessa tensione ripetutamente in segmenti delicati e spesso soggetti ad infortuni. Potremmo considerarlo, per questo, un lavoro addirittura preventivo.
Ovviamente è importante utilizzare carichi inizialmente semplici da gestire, grosso modo inizierei il 4×8 con un carico con cui sono sicuro di poter fare 12 ripetizioni.

Gli scatti sui 70 m infine sono uno dei modi che preferisco per svegliare gambe leggermente sopite. Questi sono in grado di donare una particolare brillantezza, misurabile in praticamente ogni prestazione che richieda spinta di gamba, squat compreso.

 

 

.