Il gesto tecnico nella distensione del bilanciere su panca orizzontale
Quando si discute in merito alle alzate classiche della pesistica moderna intesa in senso lato – ovvero come l’insieme delle specialità agonistiche aventi ad oggetto i pesi e non soltanto nell’accezione comune del termine riferita ai sollevamenti olimpici – la bench press o distensione del bilanciere su panca orizzontale è considerata tra gli esercizi multiarticolari di più facile apprendimento.
Probabilmente tale giudizio è riferito proprio al fatto che la specialità si svolge distesi sopra una panca e quindi, almeno apparentemente, sembra richiedere minor abilità e capacità coordinative.
In realtà, pur se in buona sostanza non si tratta di considerazioni del tutto errate, il concetto introduce una serie di riflessioni che ci obbligano a iniziare il discorso dai preliminari – come del resto conviene quasi sempre – partendo proprio da questo postulato.
IL CORRETTO POSIZIONAMENTO
Il primo passo, infatti, per apprendere come diventare uno specialista della distensione su panca consiste nell’imparare a posizionarsi su di essa.
Il “setup” è un fattore imprescindibile per una distensione su panca massimale, ancorchè purtroppo venga spesso trascurato.
Si pensi per un attimo come qualsiasi costruzione, in generale, si erga sulla base di solide e stabili fondamenta: più grande e più alta è la costruzione, tanto più risultano importanti le fondamenta.
La similitudine vale per il bilanciere durante l’esercizio di bench press. Se non si è posizionati in modo da creare una solida base per i muscoli impegnati nell’alzata, il pesante carico sarà staccato dagli appoggi in maniera precaria oppure l’esercizio inizierà con una discesa insicura o il bilanciere non si solleverà dal petto o magari l’ascesa sarà asimmetrica, malferma, irregolare.
Il giusto posizionamento inizia con l’ approccio ideale alla panca. In questa fase si riconosce l’alzatore agonista dal normale utente di palestra.
La distensione avviene già con l’avvicinarsi al bilanciere: camminate dritti verso la panca ed osservate il bilanciere, controllate la distanza dei collari dagli appoggi; fate un giro su voi stessi di 180° e date le spalle al bilanciere. Sedetevi ma non crollate sulla panca, i piedi dovrebbero essere ben piantati sul pavimento ed i fianchi ben saldi.
Respirate profondamente, distendetevi indietro cercando con le mani il bilanciere; quando avete preso le necessarie misure e stabilito l’impugnatura, espandete il gran dorsale e contraete la parte bassa della schiena. Piedi, fianchi, schiena e spalle devono essere pronti a fornire una solida base ed il naturale supporto al sollevamento.
Gli occhi dovrebbero essere allineati al bilanciere: se scivolate troppo in alto sulla panca, il bilanciere potrebbe colpire gli appoggi nella fase di risalita; se siete sistemati troppo in basso la posizione potrebbe risultare svantaggiosa, il bilanciere si troverà sempre lontano dal piano perpendicolare sul busto o, in alternativa, dovrete dimenarvi per sistemarvi sprecando energie preziose, con scarsa possibilità di percepire il giusto posizionamento quando il peso già grava sulle articolazioni.
Le gambe formano un angolo acuto con le cosce, all’altezza delle ginocchia; i piedi sono poggiati sulla pedana con tutta la suola, vicini alla panca ma senza toccarla. Posizionando i piedi vicino alla panca è più facile mantenere la schiena inarcata e, nel contempo, l’angolo acuto delle gambe consente di spingere efficacemente contro il suolo con azione antigravitazionale nel momento topico dell’esercizio di sollevamento.
Per atleti con arti inferiori particolarmente lunghi, lo stesso arco potrebbe ottenersi accentuando la divaricazione delle cosce e ponendo quindi i piedi in posizione più alta rispetto al limite inferiore della panca ( cioè più vicini alla perpendicolare con i gomiti ) quasi a delimitare con la base della panca i vertici di un triangolo.
Le scapole sono addotte, retratte e ben poggiate sulla panca, così da avvicinare il torace al bilanciere; la zona lombare è contratta e consente l’arco dorsale. Più breve è la distanza che il bilanciere deve percorrere e più elevato sarà il carico che riuscirete a sollevare.
Si riporta spesso una frase di Ian King, allenatore australiano di powerlifting:“ inarcare la schiena è probabilmente la tecnica più potente tra tutte quelle relative alla bench press e può conferirvi fino al 20% in più sul vostro massimale”. Non è detto che si tratti di un’affermazione condivisibile in toto, ma è senz’altro utile tenerla ben presente.
Il gluteo è saldamente a contatto con la panca e pronto a contrarsi, senza sollevarsi, nella fase di risalita del bilanciere dal petto.
L’azione sinergica di glutei, lombari, dorsali e zona posteriore del trapezio consente l’innalzamento della cassa toracica e la contemporanea tensione dei muscoli coinvolti, determinando un percorso del bilanciere inferiore, sia in fase eccentrica verso il torace, sia in quella concentrica durante l’alzata.
LA PRESA
Sono state scritte molte cose sulla presa migliore per la distensione su panca. Alcuni sostengono una presa larga per abbreviare l’escursione, altri una più stretta per coinvolgere maggiormente il tricipite o per adattarsi ad alcune “maglie” di supporto. In realtà è opportuno adattare la presa alle caratteristiche morfologiche del soggetto.
Un importante punto di riferimento è costituito dalla posizione degli avambracci e dei gomiti rispetto alle mani. La presa migliore dovrebbe essere quella che consente, in fase di discesa, di portare gli avambracci in posizione verticale rispetto alle mani allorché il bilanciere si trovi a contatto con la parte inferiore del petto. Questo è un concetto di postura da sempre raccomandato in didattica e valido per un’ esecuzione pulita dell’esercizio anche se per l’atleta, nella fattispecie il powerlifter agonista, la situazione può talvolta essere parzialmente diversa.
Come vedremo nelle descrizioni delle fasi di discesa e salita del bilanciere, la posizione dei gomiti subirà piccoli correttivi pur rimanendo comunque rivolta a formare un angolo acuto tra il braccio e l’avambraccio, senza tuttavia risultare spesso così decisiva nella scelta dell’impugnatura ottimale.
In ogni caso, indifferentemente da quanto distanziate le mani (nei limiti degli 81 cm. da indice a indice), c’è una regola inflessibile che dovete seguire per ragioni di sicurezza e regolamentari oltre che per ottenere il massimo risultato: non eseguire mai la distensione con una presa digitale (senza pollice); il bilanciere deve essere impugnato con il pollice in chiusura (in opposizione alle altre dita). Non c’è alcun vantaggio ad usare una falsa impugnatura ma al contrario una discreta probabilità che il bilanciere possa scivolarvi nel corso dell’alzata senza possibilità per lo spotter o gli assistenti in pedana di intervenire e causarvi quindi gravi infortuni.
Uno sbaglio comune nell’impugnatura è quello di tenere il bilanciere troppo alto sui palmi della mano, cioè in prossimità delle dita; questo causa l’iperpronazione del polso ( eccessivo piegamento all’indietro ) con conseguente perdita di potenza e, a gioco lungo, il possibile insorgere di tendinite.
Al contrario il bilanciere va poggiato al centro del palmo, verso la base della mano, tenendo i polsi dritti. Ciò consente di trasferire la potenza espressa dai pettorali, dai deltoidi e dai tricipiti direttamente sul bilanciere e di sfruttare al meglio la capacità di spinta dell’avambraccio nell’ultima fase della salita quando lo stesso imprime una leggera rotazione al movimento della barra.
LA RESPIRAZIONE
Il terzo elemento fondamentale per la massima distensione è la corretta respirazione.
Quando dovete eseguire una singola alzata o una prova di gara, avvicinatevi alla panca cominciando a respirare profondamente. Continuate con questa ossigenazione quando siete già sdraiati, come se foste un sub che cerca la “compensazione” prima dell’immersione.
Avrete la sensazione che il tempo stia rallentando; sarete in grado di eliminare tutte le possibili distrazioni e di concentrarvi solo su una cosa: il sollevamento massimale. Esistete soltanto voi e il bilanciere sopra i vostri occhi. Lui è inerte e tuttavia, tra non molto, vi minaccerà dall’alto come una spada di Damocle…..ma voi siete tremendamente convinti, cazzuti!
Il vostro respiro finale dovrebbe essere compiuto appena prima di sollevare il bilanciere dagli appoggi e l’espirazione successiva dovrebbe accompagnare lo stacco dai ritti.
Evitate di forzare la respirazione quando state già trattenendo il bilanciere con le braccia distese sopra il petto; il peso renderebbe impossibile un’inspirazione veramente profonda e influirebbe negativamente sulla capacità di espansione della cassa toracica.
Inspirate senza forzare all’inizio della fase discendente e trattenete l’aria mentre avvicinate il bilanciere al petto, proseguite l’apnea nella fase di “fermo” al petto ed anche nella fase immediatamente iniziale della spinta.
Trattenere il respiro al momento giusto è importante, in quanto l’aumento della pressione intra – addominale vi aiuta a superare il punto critico e vi da la sensazione di stabilità e fiducia durante l’inversione di marcia. Senza quella spinta psicologica vi sentireste schiacciati sotto un carico pesante, cosa che potrebbe farvi fallire il sollevamento mentalmente prima ancora che esso sia iniziato.
Cominciate poi ad espirare il più violentemente possibile immaginando di condurre il bilanciere grazie alla sola potenza del respiro. Fate finta di usare il respiro per spingere il peso oltre il punto di arresto, raggiungendo la massima espirazione nella fase finale dell’alzata.
Quando invece vi trovate a completare serie che prevedano più di una ripetizione usate lo stesso modello di respirazione ma non espirate altrettanto violentemente, poichè altrimenti rischiereste, buttando fuori tutta l’aria ad ogni ripetizione, di andare fuori ritmo, costretti ad ansimare e ad inspirare di nuovo prima di cominciare la ripetizione seguente.
Dovreste espirare vigorosamente ma non completamente mentre spingete il carico verso l’alto; cominciare ad inspirare quando bloccate le braccia e state per iniziare la discesa, quindi proseguite trattenendo il respiro come precedentemente descritto.
LA FASE ECCENTRICA
Il momento successivo nella corretta esecuzione della bench press è costituito dalla fase eccentrica dell’esercizio, vale a dire nell’abbassamento del peso. Se abbassate il peso troppo lentamente vi stancate troppo ma se lo abbassate troppo velocemente non sarete in grado di posizionarlo nel modo giusto per esercitare il massimo sforzo nella successiva fase ascendente.
In tutte le palestre in cui vi capita di andare potete vedere atleti, pure potenzialmente discreti, che lasciano cadere i pesi fino al petto per aiutarsi con il successivo rimbalzo nella risalita.
Osservate pure il loro sviluppo e la qualità muscolare e poi confrontateli con quelli di un sollevatore di pesi che abbassa il carico sotto controllo per poi rialzarlo usando la forza muscolare e la tecnica appropriata.
Alcuni sono convinti che il metodo del “rimbalzo” sia utile per allenare l’esplosività. In realtà, lasciando crollare il bilanciere si cerca l’effetto pliometrico conseguente ad una qualunque caduta dall’alto; tale effetto, al contrario, è proprio ciò che impedisce di esprimere la potenza esplosiva necessaria per partire da una condizione di fermo.
C’è anche un altro fattore da prendere in considerazione allorché un carico venga abbassato troppo velocemente: cioè che la quantità di forza necessaria per invertire la direzione, una volta esaurito l’effetto dello slancio pliometrico, è decisamente maggiore del peso del bilanciere.
Quindi se abbassate il peso sotto controllo avrete bisogno di meno forza per sollevarlo, avrete maggiore padronanza e stabilità nell’esecuzione dell’esercizio ed eviterete gran parte degli infortuni al petto, alle spalle ed ai gomiti, conseguenza appunto di atteggiamenti scriteriati.
Ovviamente è altrettanto controproducente una discesa eccessivamente lenta, utile solo nel body buiding per cercare una progressiva situazione di acidosi nei muscoli. Nell’allenamento per la forza massimale, l’obiettivo primario è forzare il sistema nervoso a reclutare con maggiore efficienza le fibre a contrazione veloce. Con una velocità eccentrica maggiore, pur se controllata, si concede al sistema nervoso più di una pausa tra le esplosioni, in quanto la tensione è ridotta; così facendo i muscoli devono contrarsi da una posizione più rilassata forzando in tal modo il sistema nervoso ad adattarsi.
Un altro aspetto fondamentale dell’abbassamento del peso riguarda la posizione dei gomiti.
Molte persone hanno sviluppato l’abitudine di tenere la parte superiore delle braccia (cioè il braccio propriamente detto che va dalle spalle al gomito) ad un angolo quasi retto rispetto al tronco, quando il bilanciere tocca il petto. Questo significa che se tracciaste una linea dal gomito sinistro del sollevatore a quello destro questa passerebbe direttamente sopra entrambe le spalle o, quanto meno, vicino ad esse. Significa anche che i gomiti sono in linea con la gola del sollevatore o, nel migliore dei casi, con la parte superiore del petto.
La posizione ora descritta è decisamente svantaggiosa nella distensione poiché, come vedremo, l’esercizio di bench press è una giusta mistura di movimenti verticali e orizzontali.
Il modo appropriato per eseguire la distensione è quello di abbassare il bilanciere fino alla parte inferiore del petto e spingerlo in alto (movimento verticale) ma all’indietro (movimento orizzontale), cosicché alla fine del sollevamento il bilanciere risulta spostato in alto ma orizzontalmente rispetto alla parte inferiore del petto, fino a trovarsi sopra la faccia dell’atleta che esegue l’alzata.
Questa combinazione di movimento orizzontale e verticale è il modo biomeccanicamente più vantaggioso per eseguire l’esercizio con un carico massimale.
Ora, uno dei problemi nel tenere il braccio quasi in linea con le spalle nella fase di discesa del bilanciere è che diverrebbe molto arduo inserire poi il movimento orizzontale nel sollevamento.
I sollevatori che abbassano il bilanciere con questa tecnica sono costretti a toccare la parte superiore del petto. Quando però iniziano la fase di risalita, il loro arco di movimento è limitato in pochi centimetri e, immancabilmente, falliscono i tentativi pesanti non appena il bilanciere ha valicato il tratto iniziale.
Lo sticking point avviene in questo punto perché esso è esattamente il momento dove avrebbero dovuto inserire un lieve scivolamento orizzontale, risultato di fatto impossibile in quanto sono partiti con il bilanciere posizionato sulla parte superiore del petto.
D’altra parte, seppur extra contest e qualora intendessero effettuare delle ripetizioni al posto dell’alzata singola, sarebbero svantaggiati dalla leva di sollevamento utilizzata, che li costringerebbe a cedere molto prima che subentri l’effettiva incapacità muscolare. Inoltre, tenendo i gomiti all’indietro e quasi in linea con le spalle, restano tagliati fuori (al contrario di ciò che comunemente si pensa) proprio i più potenti muscoli del petto.
Le solite leggende nel mondo delle palestre sostengono che effettuare la distensione su panca con i gomiti larghi serva a costruire i muscoli del petto. Peccato che l’anatomia e la fisiologia non siano d’accordo.
I muscoli del petto hanno tre funzioni principali: addurre il braccio verso il corpo, anteporlo ed intra ruotarlo.
Nello specifico della nostra trattazione, lo spostamento del braccio in basso ed all’interno dovrebbe costituire la funzione principale dei muscoli del petto riferita alla distensione su panca.
Se ci si pone dinanzi ad uno specchio e si contraggono i muscoli del petto, mantenendo al contempo i gomiti in linea con le spalle, si vedrà che il coinvolgimento del petto non è apprezzabile in quella posizione; ma se si abbassano le braccia, incrociandole sul corpo, come nella posa del “most muscolar” (quindi con le mani unite all’altezza della cintura), ci si accorgerà che i muscoli del petto si gonfiano considerevolmente.
Questa è all’incirca la posizione che devono avere i gomiti e le braccia quando il bilanciere si trova sul petto, nel punto basso della distensione su panca.
Iniziando il sollevamento con i gomiti e la parte superiore delle braccia posizionate in quel modo, potrete esplodere tutta la forza dei vostri muscoli del petto mentre, al contrario, persistendo nell’uso della tecnica con i gomiti larghi, taglierete fuori i pettorali ed accentuerete lo sforzo sull’articolazione delle spalle con la conseguenza che, oltre a ridurre considerevolmente l’arco di movimento nella fase di spinta, aumenterete le percentuali di rischio di infortuni a danno della cuffia dei rotatori e del cingolo scapolo omerale.
In conclusione la posizione biomeccanica più favorevole prevede un angolo di circa 45° del braccio propriamente detto rispetto al tronco (cioè l’angolo tra il braccio e la cassa toracica). L’angolo effettivo ovviamente varia da sollevatore a sollevatore a seconda della lunghezza degli arti, della dimensione del tronco e di altri fattori collegati.
E’ doveroso soggiungere che queste considerazioni riguardano la biomeccanica essenziale dell’esercizio di bench press così eseguito senza l’uso di una particolare attrezzatura.
L’utilizzo di quest’ultima, invece, modifica e devia concretamente alcuni canoni del setup e della traiettoria del bilanciere in assetti unequipped, come precedentemente descritti.
Tuttavia, poichè l’attrezzatura regolamentare è sottoposta, nel corso degli anni, a continue approvazioni ed omologazioni da parte di Organismi e Federazioni, non può costituire nella presente trattazione iniziale una base di partenza e un presupposto per la didattica elementare e basilare dell’esercizio in parola.
LA PAUSA AL PETTO
Massimizzare la produttività della distensione è possibile utilizzando anche in allenamento la pausa al petto di ca. 1” ( contare: milleuno).
E’ un modo per allenarsi brutale ma molto efficace che, inizialmente, vi costringerà ad abbassare percentualmente i vostri carichi ma poi vi compenserà in termini di resa in gara (dove il “fermo” è notoriamente obbligatorio).
Quando effettuate la pausa al petto dovete restare comunque contratti, duri, non potete rilassarvi pena la perdita di efficacia di tutto il setup iniziale e del pre stiramento fornitovi dalla fase eccentrica del movimento.
Tutto il vostro corpo in sinergia deve essere pronto ad esplodere la potenza della successiva alzata.
Chiaramente l’allenamento con il “fermo” richiede anche notevole dispendio di energie nervose e, pertanto, può essere un mezzo importante ma non necessariamente l’unico in preparazione ad una gara.
Quando si eseguono set con molte ripetizioni e si privilegiano alzate senza la pausa al petto, può essere opportuno ricorrere alla cosiddetta “inversione di marcia”, che provoca una soluzione di continuità appena accennata tra le due fasi del movimento, eccentrica e concentrica, senza sottoporre il fisico allo stress del “fermo” vero e proprio.
Tra le esercitazioni che vi abituano al “fermo” di gara, vi sono le parziali al power rack (“gabbia”) e le board press, soprattutto per chi fa uso dell’attrezzatura specifica. L’illustrazione di questi esercizi esula tuttavia da questa parte della presente trattazione.
L’AZIONE CONCENTRICA DELL’ALZATA
L’aspetto principale della bench press è ovviamente il sollevamento del bilanciere dalla posizione di “fermo” al petto fino alla completa distensione delle braccia.
Il punto chiave di questa fase dell’esercizio consiste – come già detto – nell’unire all’essenza verticale del sollevamento una concreta componente di spostamento orizzontale. In altri termini, oltre a sollevare il bilanciere fino alla completa estensione dell’avambraccio sul braccio lo si spinge contemporaneamente all’indietro.
Il bilanciere dovrebbe muoversi da un punto che per taluni si trova immediatamente sopra i capezzoli, per altri appena sotto e leggermente sopra lo sterno, fino a trovarsi perpendicolarmente rispetto al naso (o tra il naso e gli occhi).
La componente di spostamento verticale è calcolabile tra i 30 ed i 35 cm. mentre quella orizzontale tra i 24 ed i 28 cm.
Sostanzialmente e con le opportune approssimazioni dovute alla lunghezza degli arti ed alle tecniche di esecuzione, possiamo dire che ogni 5 cm. di ascesa il bilanciere si sposta indietro per 4 cm.
Il movimento orizzontale è fondamentale, in quanto qualsiasi riduzione di questa componente nella traiettoria del sollevamento causa una drastica riduzione nel carico massimo spostabile stimabile all’incirca nel 10% del totale.
Per apprendere l’esatto movimento orizzontale occorre innanzi tutto pensare alla posizione delle mani: esse condurranno il bilanciere in alto e indietro, dal petto verso gli occhi.
La larghezza della presa prescelta deve essere tale da consentire, allorché il bilanciere si trova poggiato sul petto, di mantenere i gomiti in verticale sotto le mani. In caso contrario gli avambracci non saranno perpendicolari al pavimento ed una parte sostanziosa della potenza di spinta andrà perduta, poiché sarà trasferita in traiettoria obliqua anziché spingere il bilanciere verso l’alto.
Con la presa ottimale ed i gomiti in linea con le mani, gli avambracci potranno tracciare il percorso già ricordato di spostamento verticale ed orizzontale al tempo stesso. E’ tuttavia necessario che le mani ed i gomiti continuino a viaggiare insieme: se infatti le mani dovessero allontanarsi dai gomiti nella posizione finale del sollevamento, sarebbe quasi impossibile raggiungere il blocco dell’articolazione con un carico pesante, in quanto la distensione su panca si sarebbe trasformata in un esercizio di isolamento per i tricipiti (french press).
Talvolta, nelle gare di bench press o di powerlifting, si vedono sollevatori “esplodere” letteralmente con il bilanciere dalla posizione bassa allontanandolo di ca. 6/7 cm. dal petto; tuttavia proprio a questo punto si bloccano, perché appena raggiunto il punto di difficoltà (cd. “punto morto”) hanno permesso ai gomiti di scivolare verso i piedi.
Quando i gomiti ruotano verso i piedi, i tricipiti diventano i soli muscoli deputati in maniera sostanziale al sollevamento ma chiaramente, da soli, non sono in grado di supportare l’intero sforzo dell’alzata consistente in un carico determinato per un intervento multiarticolare.
Il buon esecutore della distensione su panca, viceversa, raggiunto il punto di difficoltà a 5/7 cm. dal petto, inizia a spostare il bilanciere all’indietro orizzontalmente verso il viso. Esegue questo movimento con una retroposizione del braccio propriamente detto, avendo cura che i gomiti restino perpendicolarmente in linea con le mani.
Potremmo semplificare l’azione suddividendola in tre fasi:
1) la prima richiede un movimento esplosivo che allontani nel modo più repentino il bilanciere dal petto. Il gran dorsale ed i bicipiti ( poichè si trovano più in basso rispetto alla panca) svolgono un ruolo spesso sottovalutato ma in realtà fondamentale.
Abbiamo parlato in precedenza di uno spostamento variabile dai 5 ai 7 cm., ma ovviamente la circostanza risente dell’equipaggiamento dell’atleta: ovvero se il medesimo sia provvisto della speciale attrezzatura di supporto (maglia omologata) o se esegue la distensione in assetto “raw”.
Alcuni lifters – a seconda della lunghezza delle leve articolari, della dimensione del busto e della forza dei diversi gruppi coinvolti nel sollevamento – preferiscono allontanarsi dal petto con un’inclinazione di ca. 60°, altri alzare il bilanciere verticalmente per i primi centimetri di escursione.
2) Adesso inizia la seconda fase. A questo punto l’iniziale contrazione del muscolo pettorale supportata dalla spinta di reazione alla fase eccentrica fornita dal gran dorsale si è esaurita, portando il bilanciere alla sua altezza massima. Se in questa fase non si inserisce un movimento orizzontale a carico dei deltoidi e del trapezio, con un carico pesante si è quasi certi di fallire l’alzata.
In questa situazione il serratus svolge un importante lavoro isometrico di sostegno per il quale sarebbe opportuna un adeguato allenamento di stabilizzazione motoria nelle fasi e nei cicli preparatori precedenti la gara principale.
Lo spostamento deve avvenire con determinazione in una frazione di tempo per consentire di opporsi duramente al peso e, nel contempo, muovere il bilanciere dalla parte inferiore del petto gradualmente verso la faccia.
3) Nella terza fase si completa la distensione. Lo spostamento del bilanciere, di cui si è parlato prima, si tradurrà solitamente in un allontanamento delle mani dai gomiti; ecco perché è necessario correggere immediatamente la situazione con una presa molto salda e l’intervento dei muscoli dell’avambraccio, in particolare l’anconeo, mentre il tricipite (capo laterale e mediale) entra in gioco in maniera preponderante nella chiusura dell’escursione.
Esistono principalmente due diverse impostazioni tecniche per portare a compimento la fase terminale del movimento. La prima tecnica fa capo ad Arthur Jones – l’inventore delle popolari macchine “Nautilus” – il quale, rivolgendosi all’epoca ad atleti non provvisti delle maglie di supporto, teorizzò il famoso movimento a “J” delle braccia; l’atleta in sintesi chiudeva la distensione con una leggera intrarotazione del polso provocata dall’intervento determinante dei muscoli dell’avambraccio, che lasciava appunto intravedere il disegno di una lettera J nel movimento coordinato di spalle e braccia accompagnata dalla rotazione dello stesso bilanciere facilitata anche dal sistema dei “cuscinetti”. Jones sosteneva essere questa la biomeccanica più favorevole al movimento di specie.
Successivamente Louis Simmons, l’ideatore del “Westside system” propugnò la tesi della traiettoria non curvilinea del bilanciere in salita, fondata sulla legge che la via retta è certo la più breve ma, soprattutto, rivolgendosi ad atleti equipaggiati con l’attrezzatura specifica e mirante, di conseguenza, ad ottenere da essa il maggior vantaggio possibile. Si trattava in questo caso di sfruttare al massimo la spinta verticale dei tricipiti ( il cui allenamento è preponderante in Simmons) per ovviare all’esaurimento, nel punto “morto”, della fase di esplosività iniziale agevolata dalla maglia.
Come si potrà vedere in altra sede, per l’intervento dei tricipiti si possono eseguire le distensioni a presa stretta su panca sia orizzontale che inclinata mentre per abituarsi al superamento del cosiddetto “punto morto”, in special modo per chi usa l’attrezzatura, è di grande utilità la floor press ( distensione dal pavimento) da eseguirsi, preferibilmente, con il bilanciere al fine di simulare la situazione di gara.
Logicamente queste tre fasi devono essere svolte senza soluzione di continuità, velocemente ed alla massima sincronia possibile di tutte le catene cinetiche interessate, poiché chiaramente un sollevamento ottimale richiede, oltre alla forma di esecuzione tecnica migliore, la sinergia ed il coordinamento perfetto di tutti i momenti dell’alzata.
Articolo molto interessante. Un’ ottima guida.
E ovviamente una domanda.
nell’articolo si scrive: “Il modo appropriato per eseguire la distensione è quello di abbassare il bilanciere fino alla parte inferiore del petto e spingerlo in alto (movimento verticale) ma all’indietro (movimento orizzontale)”
Ebbene ultimamente ho sentito predicare sempre + spesso (al solito, dallo stimato Gruzza) di cercare la spinta non all’indietro ma verso i piedi. (manovra che mi è stata fatta notare anche su un video di un recente record mondiale di panca).
Io ho quindi iniziato a farla (e farla fare) cercando questa spinta verso i piedi, con buoni risultati.
Dove sta la soluzione?
Nel mio piccolo mi sembra di notare che il problema che in questo modo l’alzata diventi quasi solo di tricipiti, come vien fatto notare nell’articolo, non dipenda tanto dalla traiettoria quanto dal perdere la posizione delle spalle e del petto. Per dire: se continui a tenere le spalle ben indietro con le scapole addotte e il petto ben in alto, continui a far intervenire soprattutto i pettorali.
il problema dell’intervento dei tricipiti mi sembra + dovuto alla perdita del corretto posizionamento lasciando che le spalle scivolino verso l’anteposzione e il petto s incassi.
Ciao Andrea. Il discorso è molto complesso ma provo a riassumertelo dalla fine: se vieni ad un corso federale ti verrà insegnata la versione della traiettoria retta, punto e a capo. Questo perchè nelle valutazioni fatte in maniera incrociata tra una analisi biomeccanica molto acuta di Paolo e il mio guardare fin dall’inizio verso i grandi tecnici europei (e non quelli che scrivono sui magazine con zero medaglie in bacheca) abbiamo capito quanto questo gesto fosse quello che permette di espirmere la massima energia nel minor tempo possibile. Per cui quanto questo fosse un gesto estremamente didattico e molto vicino alla perfezione che per la prima volta vidi in Kazakov e Pavlov che si allenavano davanti a me, da spettatore ultrababy al mondiale 2002 di Trancin.
La loro panca piana era diversa, non era una spinta, era un fucilata. Nel tempo abbiamo capito come riprodurla su larga scala. Il che permette di allenarla più spesso, meglio, acquisendo tassi di esplosività probabilmente maggiori.
Il discorso di Giovanni è però interessante. Non l’avremmo postato altrimenti. Interessante anche perchè, sopratutto nel raw si vede come nelle alzate più dure questa manovra possa dare benefici. Mentre nel primo caso si lavora per allontanare lo sticking point in questo si lavora per superlo. Nato prima l’uovo o la gallina? Per me l’uovo, per giovanni la gallina. Punti di vista.
Il succo è che questa è un ottima analisi di un esercizio che in Italia è fatto MALE da tutti, che è la primissima causa delle migliaia di infiammazioni alla spalla (che tra l’altro lo spinger vs i piedi previene tantissimo) e una fonte di informazione che pensiamo sia estremamente utile, al di là delle sfumature tecniche personali.
Allora è possibile tenere le spalle anche proiettando il bilancere a J? Porbabilmente in talune condizioni si. Possibile mantenere una continuità vettoriale di energia spezzando il movimento in due linee di traiettoria? Questo sinceramente non lo so ed è il dubbio più grande su cui discutere.
Ovviamente i cervelli sono tanti e altrettante le idee.
Se voleve apprezzare di persona le idee di Giovanni sarà presente al Corsi Istruttori Powerlifting 2012 come relatore tecnico nazionale.
Grazie per la replica.
Non volevo certo esser polemico, se ne ho dato l’impressione. Solo mi mancava il quadro di riferimento per far tornare i conti.
Grazie ancora.
PS:Se posso chiederlo, dove si trova l’analisi di Paolo? (sul sito non riesco a trovarlo).
Assolutamente non ho visto nessuna polemica. La domanda è stata molto lecita.
L’analisi di Paolo credo che si trovi in parte nel suo libro ma nello specifico fu presentata ad un seminario su Bench Press ed esplosività fatto a Parma nel 2010 che ebbe anche quello molto successo.
Si nel libro di Paolo è presente l’analisi fatta al primo seminario FIPL, di persona però è stata un’altra cosa! Senza nulla togliere ai 2 capitoli del libro sull’argomento, che sono magistrali!
Articolo interessantissimo!
Come al solito i tuoi articoli sono sempre dettagliati e chiari, tali che anche una neofita come me riesce a comprenderli a pieno.
La spiegazione dell’esercizio divisa nei vari momenti è molto efficace e le foto sono comunque di supporto ad una eccellente spiegazione tecnica.
MI rendo conto di quanto ancora devo imparare, sia nella teoria che nella pratica……..
ma con un Coach come te al mio fianco tutto sarà sicuramente più semplice.
Grazie
Articolo dettagliatissimo relativo ad un gesto – quello della distensione su panca piana – apparentemente “banale”, ma in realtà tra i più complessi: a dimostrazione di ciò, le migliaia di penose esecuzioni che quotidianamente si vedono nelle palestre.
I contenuti teorici sono stati ora arricchiti con immagini certosinamente selezionate, in modo da rendere perfettamente l’idea della precisa fase tecnica di cui si tratta nel corrispondente paragrafo: il tutto esposto con un linguaggio nel complesso tale da rendere accessibile la guida in questione a (quasi) tutti gli amanti del ferro.
Rinnovo i miei più sinceri complimenti a Giovanni: eccezionale maestro di powerlifting e di vita.
Ho letto questo articolo più e più volte fin dalle sue prime stesure. Non posso che fare ancora i complimenti per la completezza nella descrizione di un gesto atletico forse tra i più diffusi in palestra. Vengono trattati tutti i punti salienti dell’alzata, ed è dai particolari descritti che si riesce a comprendere appieno la complessità di questa alzata e quanto è necessario fare per migliorarla. Particolari come, ad esempio, la posizione del polso quando il bilanciere è al petto, la cui correzione mi ha aiutato parecchio a migliorare in questi ultimi mesi. Ancora un grazie per questo articolo!
Complimenti per l’articolo, affronti come sempre gli argomenti con un approccio scientifico e massima attenzione ai dettagli, che fanno sempre la differenza!….ps complimenti anche per l’ u.s. record master sulla specialità di cui hai adesso parlato, che avvalorqa ulteriormente il tuo articolo 😉
berserk
Bell’articolo..
P.S. Finalmente una foto (la prima dove Giovanni fa da Spotter) di un campionato nazionale promozionale ASI… La panca (lo so non è professionale ma sicuramente meglio di tante panche giocattolo che si trovano nelle palestre dei fighetti) è la mia lo so che non vi interessa però mi andava di dirvelo 😛