A cura di Amerigo Brunetti.

 

Tendo sempre a catalogare nella mia memoria i periodi in base ad un singolo evento che lo hanno caratterizzato. Uno solo, altrimenti faccio casino.

E nonostante la mie capacità mnemoniche – in questo periodo – vacillino sensibilmente, il mese di Novembre 2014 mi resterà certamente impresso come il Mese degli USA.
Stati Uniti d’America.

Denver, Las Vegas, San Francisco, Boston, Dallas, San Antonio, Fort Mill, New York: queste le tappe del mio tour di un mese, tra una gara e l’altra, una scuola di sollevamento e l’altra, una disavventura e l’altra.

 

Com’è nata l’idea di investire un intero mese in un’esperienza di questo tipo?

Punto uno.
Se non studi, non impari. Se non investi tempo e denaro, non impari. Se stai seduto sul divano e trascorri la giornata dietro allo schermo del Pc a commentare cose più grosse di te, non impari.
A guardare i video da Youtube, non impari.
O almeno, non diventi del tutto cosciente dell’evoluzione – rapidissima! – che sta avendo questo sport a livello planetario, finendo per radicare in te stesso delle convinzioni che, in realtà, avevano senso tre, quattro o cinque anni fa. Forse.
Cinque anni sono poco tempo in senso assoluto, certo, ma un’enormità se si considera quanto è giovane questo sport.
Ai mondiali di Denver ho visto cose SIGNIFICATIVAMENTE differenti rispetto a quanto notato agli Europei Open di Sofia. Atleti (esempio Carl Christensen) che in pochi mesi hanno rivoluzionato la tecnica in maniera evidente, con risultati che parlano chiaramente a loro favore. Lo stesso Belkin, chiaramente in difficoltà nella panca rispetto ai suoi mostruosi avversari, ha decisamente colmato il forte gap che c’era. Grazie… a un diverso atteggiamento rispetto al bilancere (leggi: è migliorato tecnicamente, si muove diverso, imprime energia in modo diverso).

Il pensiero che mi ha guidato è stato: “qui, se non mi tengo aggiornato, tra un anno penserò cose ormai vecchie e banali”.
E se devo spendere, almeno vado a colpo sicuro.
Harvard o fatiscente università di provincia?

Dato che, ad oggi, non esiste un’Università Mondiale del Powerlifting, le conoscenze te le devi andare a prendere coi denti. Vedendo e tastando con mano, andando a casa degli allenatori, infiltrandoti negli allenamenti di quelli che, nelle foto di gruppo, li ritrovi sempre sul gradino più alto del podio.
Sottolineo. Consiglio di trascorrere intere giornate con gli atleti: conoscere il loro modo di ragionare vi permette di comprendere appieno il loro modo di allenarsi e di intendere il bilancere.

E poi, appunto, l’istruzione te la formi anche andando alle gare.
Quelle col regolamento più severo e riconosciute dal Comitato Olimpico Internazionale.
Quelle che danno l’accesso ai World Games e che hanno, perlomeno, un minimo di controllo dalla WADA.
Quelle dove devi avere le ginocchia serrate in chiusura di stacco, la testa appoggiata durante la panca, i talloni per terra, le braccia distese, e c’è qualcuno che realmente controlla.
Quelle dove – per essere un arbitro – fai un corso. Non sei uno raccattato dal pubblico giusto per colmare un buco di personale.
IPF, what else?

Punto due.
Settembre 2014, Mondiali Junior in Ungheria.
Si vede qualcosa di diverso, nei ragazzini che arrivano dall’altra parte dell’Oceano. Non sono i soliti invasati dei video, non sono quelli a cui si pensa quando si parla di bruti o forzuti topi di palestra.
Niente bandana-urla-ceffoni in faccia prima di andare sotto lo squat.
Niente che ti faccia incazzare a prima vista, insomma.
Anzi, è gente seria, per bene. Calma. Legata al college (uno dei grandi segreti del successo sportivo degli USA).
Certamente di buona cultura.
Facce pulite.
Tecnica di esecuzione sul momento giudicata opinabile, ma… questi hanno stravinto i mondiali e sembrano mediamente molto più puliti rispetto ad altre nazioni.
Per cui: in parte hanno ragione loro. Qualcosa da imparare c’è, sicuro.

Due chiacchiere con i coach, con Ian Bell. Ottima impressione.
Perché anche l’approccio umano ti racconta molto.

Al dubbio che questi stiano combinando qualcosa di davvero buono, aggiungiamoci due date. Verifico che gli Open Worlds IPF sono a Denver ad inizio mese, e i mondiali WNBF di Natural Bodybuilding sono esattamente dopo una settimana, a Boston.

DEVO andare. La mia ossessione per cogliere tutte le occasioni che si presentano ha il sopravvento.
E così, con dieci voli e migliaia di euro investiti nel progetto, parto. Parto, e torno con convinzioni assolutamente differenti.
Su molti aspetti.

Scriverò ora di cosa ho visto specificamente in Texas, trascorrendo sei giorni a stretto contatto con Gene e Ian Bell, essendo invitato a casa loro e, ovviamente, ospitato in palestra durante gli allenamenti di squadra.

Del resto del viaggio tratterò in altri articoli.

San Antonio è la città cresciuta attorno ad Alamo (chi non ricorda la celebre battaglia…).
Texani, messicani, afro-americani. Quel mix di popoli che fa presagire un livello sportivo assolutamente d’élite.

Arrivo in palestra di corsa, dopo cinque ore di viaggio partendo in macchina da Dallas.
Entro. Tipica palestra americana, come quelle dei video. Tutti super-friendly, ancora in perfetto stile americano.

Faccio due chiacchiere – giusto due parole – con Gene e Ian.
Nella prima stesura di questo articolo avevo erroneamente scritto Jim, anziché Gene.
Mi voglia perdonare. Spero almeno di avere avuto una pronuncia accettabile quando ero là.
O avrà pensato che io abbia seri problemi mentali, ed ecco il perché di tutta quella gentilezza…

Ian Bell, nel powerlifting, lo conosciamo tutti.
Ian è questo tizio qui:

 

385kg di stacco attrezzato, al peso di 92kg scarsi.

Ventidue anni, nel 2014 ha stravinto i mondiali Junior (cat. -93) e chiude 4° ai Mondiali Open di Denver, inchiodando l’ennesimo World Record di stacco.

Gene è suo padre. Otto volte campione del mondo di PL, un’icona del sollevamento made in USA. Allenatore del Team Bell, assoluto punto di riferimento in Texas e non solo. Gestisce direttamente una ventina di ragazzi, la maggior parte dei quali si allena regolarmente alla Olympic Fitness di S. Antonio.
Mi siedo e guardo.

Guardo e basta.
In queste situazioni mi metto in una sorta di modalità stand-by.
Voglio assorbire come una spugna, fissare nella memoria quanto sto vedendo, senza troppe elaborazioni sul momento. Per quelle ci sarà tempo in seguito.
Dato che, alla fine, quello che conta sono i risultati, in quel contesto ho certamente da imparare. Molto.
So che vedrò cose assolutamente distanti rispetto a quanto visto fino al giorno prima a casa, ma… è proprio per questo che sono qui!

 

1 – LA TECNICA

Diamo un occhio a questo video.

 

 

Bello? Brutto? Uno schifo?
Un altro.

 

 

Bello? Brutto? Uno schifo?

Certo non un’esecuzione che possiamo consigliare o replicare, certo non qualcosa che si può insegnare ai corsi.
Di questi tempi , sulla tecnica si discute tanto, tantissimo. Forse troppo.
E si rischia di fare casino, specie parlandone in contesti non adatti e nei quali non si ha la certezza sul livello dei propri interlocutori.

Quindi, bello? Brutto? Uno schifo?

La tecnica rappresenta il come mi muovo, e il “come mi muovo” deve SEMPRE, ASSOLUTAMENTE rispettare certi parametri:

– costruzione di una linea ottimale (leggi: stare sul binario);
– massimizzazione del vigore di questa linea di spinta (leggi: aprire il gas);
– sicurezza del gesto e ripetibilità nel tempo (leggi: tra 20 anni starai ancora facendo quello che fai oggi, così come lo fai ora).

SE questi parametri sono rispettati, la tecnica è ok.
Altrimenti serve lavoro. Mesi, anni di lavoro.
Con l’unico fine di soddisfare i punti elencati sopra, però. Non perché la tecnica ti fa sentire un figo incredibile, o perché è bellino squattare a schiena dritta.

La tecnica porta al risultato e alla sicurezza nella ripetizione del gesto. Punto.
Il resto è contorno, sono chiacchiere da bar, semplificazioni estreme che snaturano un concetto.

C’è gente che ci nasce, con “la tecnica”.
Altri la trovano, intraprendono un percorso più o meno indipendente e trovano il modo di usare efficacemente il proprio corpo.
Tutti gli altri devono lavorare DURISSIMO, ASSOLUTAMENTE DURISSIMO per poter migliorare.

Io, la maggior parte dei ragazzi che seguo, con tutta probabilità anche voi che leggete: per noi l’impostazione RIGOROSA del movimento è la via verso il raggiungimento del nostro potenziale.

 

In Texas, molti ragazzini imparano “la tecnica”, senza che venga insegnata loro. Inizi a prendere in mano il bilancere da pre-adolescente. Ti evolvi, cresci col movimento addosso.
Il bilancere vuoto, non 3000kg.

Se un percorso tecnico di un certo tipo è necessario in certi ambienti (vedi qui in Italia, dove nessuno inizia a far palestra a 12 anni, e dove sempre nessuno ha un gluteo che gli si attacca sotto alle orecchie), in altri contesti può risultare superfluo.

Prendiamo Ian. Prendiamo lo stacco proposto poco sopra.
Sono assolutamente certo che se Ian Bell tirasse diverso, nello stacco e probabilmente anche nello squat, farebbe meno chili e avrebbe più possibilità di infortunarsi.

Parliamo di uno che ha staccato da terra 172,5kg a DODICI ANNI DI ETA’, pesandone 52, di chili. Più di 3xBW in seconda media.
Fine dei giochi.
Quando è così, hai una linea di spinta naturalmente legata al tuo corpo, talmente perfetta ed efficiente che non c’è da cambiare praticamente niente.
Non devi insegnargli, lo sa già fare.
Magari, come allenatore, puoi limare qua e là, ma la vera “tecnica” è già dentro di lui.

Alla fine trattiamo di uno sport in cui conta sollevare pesi pesanti secondo un regolamento. Farlo magari per anni di carriera, evitando di farsi male.

Se questo avviene, la strada è probabilmente giusta.

Se tutte le gare a cui hai partecipato da Junior le vinci, se fai 385kg di stacco all’Arnold Classic, se hai la parete della camera cosparsa di riconoscimenti e premi in denaro per la marea di World Record che hai battuto, e soprattutto se dai l’idea di non essere strapieno di farmaci, se ti hanno testato OTTO volte durante l’ultimo anno, a sorpresa… Hai ragione tu.

A chi sta pensando “sì, ma i test si possono aggirare…”, a te che non accetti l’idea che i numeri fantascientifici si possano fare essendo drug-virgin, suggerisco il seguente video.

 

 

C’è gente nata per sollevare pesi. Punto.
C’è gente che ha trovato una via per risultati fuori scala, non solo grazie alla cosiddetta “genetica”. Di nuovo punto.
C’è gente che è nell’ambiente giusto, che ha il padre allenatore, che fin da bambino è cresciuto con una certa mentalità. Tre punti esclamativi.
Prima accettiamo questo, prima avremo chiaro il quadro della situazione.

 

Ian tira (perché nello stacco pensa a tirare e non a spingere!) diverso rispetto ad ogni mio atleta. MAI, MAI, MAI mi sognerei di replicare su un mio ragazzo quanto visto fare a lui.

Semplicemente perché… in squadra nessuno ha la sua struttura, nessuno ha fatto due gare OGNI settimana quando era alle superiori, nessuno ha il suo gluteo, nessuno ha il suo core di titanio, nessuno – esempio – è in grado di avere un controllo smile del rachide durante gli stacchi a gambe tese, e certamente nessuno ha questa rabbiosa tirata finale:

 

 

Mi piace, in questo periodo, parlare di soluzioni motorie messe in pratica durante l’esercizio.
Ian ne ha trovate alcune assolutamente perfette.

Nello stacco da terra, qualsiasi allenatore al mondo non sarebbe stato in grado di far raggiungere risultati paragonabili. La fortuna di Ian è stata – forse – anche quella di essere libero di interpretare il proprio movimento.

 

Riguardo coloro meno predisposti, o coloro – rimanendo in tema di “trovare soluzioni” – che non hanno trovato autonomamente la via per generare una linea di spinta ottimale: alcuni atleti devono essere educati più severamente di altri. Educati o forzati a livello motorio.
Devono essere imboccati, guidati e costretti a soluzioni, perché il loro corpo, per qualche strano motivo, non trova da solo quella via.

Alla fine è a questo che serve l’allenatore: mostrare la via.

Chi trova la via praticamente da solo, traccia una linea sine ullo auxilio, e sono POCHE le influenze esterne necessarie per elaborare un movimento efficace.

In tutta sincerità, in sala dai Bell ho anche visto ragazzi che qui sarebbero visti come “normali”: ossatura fine, muscolatura non esasperata, bacino nella norma, longilinei. Ecco, su questi la mancanza di un approccio tecnico di un certo tipo risultava essere un limite. A mio avviso.
Ad essere sinceri: un forte limite.

Se sei lasciato troppo libero e non hai il turbo (o femori cortissimi alla Brett Gibbs), rischi di far girare a vuoto il motore, sperando sempre che tu non ti faccia male.

Ci vuole equilibrio in tutte le cose: la fissazione nell’aderire a certi schemi dev’essere sapientemente contestualizzata.

 

2 – LA SELEZIONE DEGLI ATLETI

“I started Powerlifting a little bit late.”

Quando a dirtelo è un ragazzo che ha iniziato a sollevare pesi a 18 anni, e ora ne ha ventuno, cominci a farti un’idea sulla mentalità che hanno negli USA.

Il vero valore aggiunto di questa Nuova Scuola Texana ritengo sia il metodo di reclutamento allievi. Scrivo Nuova per i contenuti, anche se Gene Bell, allenatore della squadra e 8 volte Campione del Mondo, è sulla scena del PL da ormai trent’anni.

TUTTI negli Stati Uniti, tutti quelli che frequentano il college hanno la possibilità di esprimere il loro potenziale, riguardo i pesi. Anzi, sono spronatissimi a farlo. Perché se è vero che il PL è uno sport minore, è anche vero che essere forte fisicamente ti rende molto appetibile per i selezionatori del Football, ad esempio.

Emergere nel baseball, nel football e nel basket ti rende un figo (oltre che farti guadagnare cifre a molti zeri). La preparazione atletica di questi sport include una lezione fissa a settimana in sala pesi. AL LICEO.

Cioè, tu hai quattordici anni e per una/due ore a settimana, quando vai a scuola, sei in sala pesi. Qui medico di famiglia e genitori contro.
Lì Panca Piana e Squat a scuola.
Anche psicologicamente è diverso. Tanto.

Mentre in Italia – è un semplice dato di fatto – il 99% di coloro predisposti a muovere pesi non toccherà mai un bilancere, in America chiunque fa panca piana almeno una volta al College.
E si vede subito chi è portato e chi no.

C’è una cultura differente per lo sport in generale, i ragazzini crescono con l’idea che fare palestra sia assolutamente normale. Qualsiasi sport tu faccia. Se sei uno destinato per natura a tirare grossi chili, lì emergi. Vieni fuori. Ti scoprono.

Se nel Bel Paese, per sfornare un Asso dobbiamo sperare che in un paesino della Sardegna nasca un fenomeno della natura, sperare che si iscriva in palestra, sperare che venga educato nella maniera corretta verso il Powerlfting, là tutti fanno lezione in sala pesi, il martedì, in prima superiore.

100/100 è maggiore di 1/100.
La probabilità ha un suo peso, nell’agonismo.

 

Gene ha dedicato buona parte del suo tempo in sala, visto coi miei occhi, all’allenamento di un ragazzino che non avrà avuto più di undici anni.
“Un pazzo!”, direte voi. E invece no. L’allenamento consisteva in squat con bastone, lavoro di equilibrio, core training, coordinazione. STOP.

Questi – la maggior parte di quelli che diventano poi fortissimi – crescono col movimento dello squat come parte della loro persona, diventa bottino del loro bagaglio motorio. A venti anni di età possono dire: io sei anni fa squattavo così…
A venti anni di età, da noi, mediamente ti va bene se fai Zumba.

Che dire? Beh, è uno spunto interessante su cui lavorare. Partire presto, e con la testa.

 

 

3 – L’ENVIRONMENT

Per molti un World Record è una cosa lontanissima, un qualcosa che qualcun altro ha fatto e che si guarda nei video.
Per alcuni (molti) di questi ragazzi, no. Il WR è un’entità familiare, è qualcosa che hanno portato personalmente a termine, e frequentano ragazzi che a loro volta sono detentori di record. Il successo sportivo è nell’aria, in casa Bell.

Una palestra con donne da 220+ di Stacco da Terra Classico è sicuramente un posto speciale. Ragazzini di 65kg, esili da far spavento, chiudono con comodità 6 reps a 180kg di stacco.
CO-MO-DA-MEN-TE.
Gente che non è necessariamente un drago di natura, eh!

L’ambiente, l’ambiente e la sua positività fanno la differenza.
Guardatevi intorno, chiedetevi questo: l’ambiente dove mi alleno è positivo?
Condivido la sala con gente che punta in alto? Le lamentele sono all’ordine del giorno, o si lavora duro punto-e-basta, occhi fissi sull’obbiettivo?

Altra cosa: non ho mai sentito Ian criticare qualcuno, o riferirsi a un certo individuo con diretto disprezzo.

Anche questo è un dettaglio che ho apprezzato molto.

 

 

4 – LA PROGRAMMAZIONE

Uscirà una video-intervista che ho fatto direttamente a Ian, girata nell’ufficio della Olympic poco prima di lasciare la città.

La includerò in un secondo articolo, dove parlerò appunto di programmazione, uso dell’attrezzatura, percentuali di carico, complementari et cetera, portandovi esempio di come l’applicazione di queste logiche possa essere davvero interessante se inserito anche in un contesto come quello che abbiamo in Italia.

La parola d’ordine è certamente: ”make it simple”. Semplicità, poche regole, poche balle, tanto lavoro e anche tanta libertà di interpretazione da parte dell’atleta.
Quest’ultima a mio avviso può essere un’arma a doppio taglio. Una certa rigidità ho visto essere davvero vincente.

In sunto, lavorano molto RAW, partendo leggeri e intensificando in maniera pressoché lineare col passare delle settimane. Da un 50% 10×4 serie a un 2×2 al 90%.

 

Lunedì

Squat pesante (eventuale attrezzatura se in-season)
Stacco leggero
Complementari gambe/glutei/lombari

Mercoledì

Panca Piana (eventuale attrezzatura se in-season)
Complementari spalle/dorsali/tricipiti
Addome, vari esercizi

Venerdì

Squat leggero
Stacco pesante (eventuale attrezzatura se in-season)
Complementari gambe/glutei/lombari

Sabato
Panca leggera
Complementari petto/bicipiti
Addome, vari esercizi

 

Molto più interessante rispetto a quello che eravamo abituati a vedere, guardando verso quella parte di mondo. No dynamic effort, stacchi con pistoni idraulici, ripetizioni veloci per la mistica “forza esplosiva” o altre amenità del genere.

Dicevo, ho provato su alcuni questa metodologia, leggermente riadattata.
Nel prossimo articolo parlerò di come è andata.

Intanto, vi lascio con un video, video girato intrufolandomi nella zona “backstage” della gara, durante la competizione ufficiale. Ovviamente di lato per vedere il comportamento di ginocchia, schiena e bacino.

La cannonata che ha tirato sul pavimento, dal vivo, è stato qualcosa di impressionante. La risata finale è dovuta a quello.

Questa è certamente un’altra cosa che resterà ben fissa nella mia mente, l’ispirazione ultima a cui tendere quando si visualizza lo Stacco da Terra.

 

 

Cosa? Ian Bell scula? Certo. E ha il Record del Mondo.