Di Nicola Marini

Docente Master Accademia Italiana Forza
Osteopata
Coach e responsabile della StrengthLab Padova

 

 

APPROCCIO SCIENTIFICO ALL’ALLENAMENTO

 

Allenarsi unicamente science-based può essere un buon punto di partenza, certamente rassicurante, superato, però, il brio derivante dall’agire per “ipse dixit” si presenta l’esigenza di confrontarsi con la pratica in palestra e, quando i progressi stallano, serve saper fare un passo in più.

 

Come mai limitarsi a praticare ciò che emerge dalla ricerca quasi sempre non è abbastanza per ottenere risultati?

 

Beh, bisogna intanto dire che quando si parla di ottenere risultati bisognerebbe definire cosa si intende: per alcune persone, risultato può voler dire perdere un paio di kg, avere 40cm di braccio, vedere mezzo addominale allo specchio, per quanto mi riguarda, invece, credo che la parola risultati possa configurarsi nel vedere un proprio atleta avvicinarsi ad un 3bw di squat, portare a casa una medaglia in una gara, o magari vedere un natural HP+35 con una bf entro il 15% fare 180/185kg di panca.

Premetto che non ho interesse nel prendere una posizione rispetto l’utilità o meno di avvalersi della ricerca per condurre e pianificare i propri allenamenti, nutro profonda antipatia per chi investe energie in operazioni poco costruttive tipo vendere delle opinioni personali al peso di verità insindacabili; vorrei invece confrontare con voi ciò che emerge da alcuni studi nel merito del topic “ipertrofia” e rapportarlo a ciò che posso osservare io quotidianamente con i ragazzi che alleno; a tal proposito, ci tengo a precisare che parlare di ipertrofia non è sinonimo di parlare di Bodybuilding, citerò infatti un adattamento con cui ho a che fare molto spesso essendo parte integrante del processo di crescita di un Powerlifter, e che anzi talvolta ha occasione di manifestarsi in modo addirittura più significativo in questo sport piuttosto che nel Bodybuilding probabilmente anche con la complicità di un regime alimentare meno restrittivo.

 

 

INTERPRETAZIONE DEGLI STUDI SCIENTIFICI

Ogni qual volta si cerchi di approfondire questo tema da un punto di vista più scientifico che empirico si incorre nel rischio di trasformare l’analisi della ricerca in una caccia alla risposta definitiva, salvo poi rendersi conto che la risposta definitiva che otteniamo finisce per sfumare rapidamente in mezzo ad una nebbia di variabili spesso non prese sufficientemente in considerazione, una su tutte negli studi inerenti le alzate di gara, il livello atletico dei soggetti presi in esame e la loro padronanza nei confronti del gesto atletico praticato.

In effetti non è tanto la ricerca scientifica a non riuscire a dare risposte precise e soddisfacenti alle nostre domande, quanto il fruitore medio della stessa, che tende ad estendere con estrema semplicità le conclusioni di un articolo, che solitamente sono circoscritte ad un contesto ristretto, a ciò che fa lui in palestra.

Il primissimo errore che solitamente si commette aprendo un articolo è quello di accontentarsi di leggere l’abstract (il riassunto dell’articolo),

facendo invece un piccolo sforzo in più e proseguendo nella lettura potremmo imbatterci in un punto molto utile che parla ad esempio dei limiti di quello specifico studio, non sempre sono presenti ma vale la pena verificarlo, servono a indicare i punti deboli di uno studio, in modo che il lettore possa farsi una tara sulla bontà dei risultati e sulle conclusioni; e quando presenti per altro testimoniano una grande trasparenza rispetto le intenzioni degli autori.

 

 

Tipo, quante ripetizioni devo fare?

 

Entriamo un po’ più nel vivo dell’argomento:

una delle domande cui più volte si è cercato risposta, riguarda proprio il numero di ripetizioni ideale per aumentare l’ipertrofia e anche qui riaffiora la smania della risposta definitiva, il numero magico che garantisca sempre dei risultati. Il mix tra credenze popolari, esperienza personale e interpretazioni un po’ “leggere” dei risultati della ricerca crea il cocktail ideale per trarre conclusioni affrettate che spesso si concretizzano in applicazioni distorte di deduzioni scientifiche, tipo il caso del fantomatico “range ipertrofico” delle 8 – 15 ripetizioni che, vorrei fosse chiaro, esiste.

Esiste sulla carta, esiste nel contesto controllato degli studi scientifici, ma posso quindi desumere di potermi allenare tutta la vita facendo 8/15 ripetizioni e sperare di continuare a migliorare?

Sarebbe bello, ma qualcuno di decisamente più intelligente di me una volta disse:

“Dubitare è il primo passo verso la conoscenza”; realisticamente è improbabile, anche se questa è per l’appunto una delle possibili digressioni.

 

 

Un’altra possibilità, più conforme al mio modo di procedere, è interrogarsi su questi dati e capire che forse non è solo una questione di numero di ripetizioni ma anche di qualcos’altro, magari di stress meccanico che riesco a produrre con il mio allenamento? Beh, a quel punto sarebbe chiaro che passare tutta la vita in range ipertrofico utilizzando ad esempio sempre gli stessi carichi avrebbe ben poco di ipertrofico.

Posso immaginare che certe idee siano in qualche modo figlie dell’arte della semplificazione, anche tollerata fino a quando riesce a conservare la pregnanza di significato del messaggio originale, cosa che però accade raramente. Mi perdonerete, quindi, se risulterò prolisso, ma trovo che le pillole di informazione e i concetti predigeriti, siano tanto veloci da assumere quanto da dimenticare.

 

TRE CASI CONCRETI

Ritornando ad insistere ancora per qualche riga sulla ricerca scientifica vi consiglio di visionare 3 studi interessanti sull’argomento, che vi super riassumerò nelle prossime righe ma nuovamente vi invito a prenderne visione in maniera autonoma e più esaustiva online.

  • 1) “Muscular adaptations in response to three different resistance-training regimens: specificity of repetition maximum training zones”

Studio non recentissimo (2002), il più vecchio in realtà tra quelli presi in esame in questo articolo, che però ci fornisce delle indicazioni mediamente utili per affrontare la discussione successiva. L’obbiettivo dello studio in esame è quello di analizzare 3 tipi diversi di range di ripetizioni, fondamentalmente : basso (3-5 reps), medio (9-11 reps), alto (20-28 reps). Con l’obbiettivo di misurare gli adattamenti aerobici, ipertrofici e di forza che emergono da ognuno di questi range. Quello che ne esce è che i migliori adattamenti di forza li ha ottenuti il gruppo che si è allenato a ripetizioni basse, i migliori adattamenti aerobici/metabolici li ha ottenuti il gruppo che si è allenato tra le 20 e le 28 reps, ed infine i migliori adattamenti in termini di ipertrofia sono stati ottenuti dal gruppo che ha lavorato a basse e medie ripetizioni. I limiti dello studio in questo caso riguarda il campione, relativamente poco esteso visto che parliamo di 32 uomini, ma soprattutto il fatto che i soggetti presi in esame sono totalmente deallenati con tutte le conseguenze relative alla disponibilità a sviluppare adattamenti sulla base di una forbice di stimoli molto ampia.

 

  • 2) “Muscle activation during three sets to failure at 80 vs. 30 % 1RM resistance exercise”

Questo è uno studio già un po’ più recente (2015), l’obbiettivo in questo caso è quello di studiare ampiezza e frequenza elettromiografica e attivazione muscolare (iEMG) durante lo sforzo fisico, e sezione trasversa del muscolo (prima e dopo), 3 serie a cedimento utilizzando l’80% del carico massimale e utilizzando il 30% del carico massimale. Per lo studio sono stati selezionati 9 uomini tra i 21 e i 23 anni e 9 donne tra i 23 e i 25 anni. Dalle conclusioni emerge che a elettromiografia l’attivazione muscolare sia superiore nell’allenamento con l’80% rispetto a quello con il 30% del proprio 1RM, però la sezione trasversale è aumentata maggiormente nel post allenamento nel gruppo che si è allenato col 30%, secondo i ricercatori ciò è da attribuirsi ad un accumulo di metaboliti e sostanze di scarto, quindi verosimilmente ad un effetto temporaneo.

 

  • 3) “Total number of sets as a training volume quantification method for muscle hypertrophy: a systematic review”

L’ultimo studio preso in esame è una revisione sistematica del 2018, per chi non fosse informato riguardo questa terminologia, la revisione è solitamente il tentativo di fare un sunto di quanto emerso da tutti gli studi inerenti un determinato argomento, per questo motivo una revisione se ben fatta può avere un valore molto alto nel restituire un’idea chiara e precisa della direzione più conveniente in cui muoversi.

L’intento di questa revisione però si discosta leggermente dal dirci semplicemente quante ripetizioni fare per aumentare la circonferenza del braccio, è direi leggermente più ambizioso e più intellettuale, si pone infatti il problema di descrivere accuratamente il significato della parola “volume”, nel tentativo di comprendere se il volume allenante possa essere descritto come il numero di set e ripetizioni totali in un allenamento ovviamente nell’ambito dell’ipertrofia. Sono stati presi in esame ben 2585 studi, da cui è emerso che effettivamente il volume può essere quantificato utilmente in quel modo fin tanto che le ripetizioni stanno in una media tra le 6 e le 20.

Bene, di qui in poi tornerò a parlare del mio punto di vista e non mi metterò a sindacare su eventuali incongruenze o concordanze con gli studi citati, lascerò a voi il compito di farvi un’idea a riguardo. E’ comunque interessante notare come sempre più in epoca recente la ricerca si sia spostata dal cercare risposte all’interno di una variabile “le ripetizioni” al cercarle nell’ambito più ampio ad esempio di uno stressor, il volume. Dal mio punto di vista questo è intellettualmente un notevole passo in avanti che strizza già di più l’occhio all’idea che il risultato, l’adattamento, si trovi macroscopicamente più in un processo che si sviluppa nel tempo che non in un evento fenomenico.

 

 

CORRELAZIONI PRATICHE TRA RIPETIZIONI ED IPERTROFIA

Già il titolo di questo paragrafo dovrebbe a questo punto iniziare a odorarvi di stantio, e se così non fosse datevi ancora qualche minuto di tempo.

Il punto è: vale davvero la pena chiedersi se fare un alto numero di ripetizioni sia meglio del farne poche per diventare grossi e forti?

Secondo me no, proprio perchè il numero di ripetizioni è una variabile importante in mezzo ad altre decine di fattori, ed acquisisce un peso determinante solo quando inserita in un contesto, solo se viene rapportata ai carichi utilizzati, al numero di serie effettuate, al periodo dell’anno in cui l’atleta si trova, all’età dell’atleta e all’anzianità di allenamento, al suo passato sportivo, alla sua composizione corporea e quindi al sesso, alla sua forza di base ecc..

Uno degli studi presi in esame precedentemente ad esempio ha dimostrato come un elevato numero di ripetizioni fosse in grado di indurre un aumento della sezione trasversa del muscolo nel breve termine, ma da subito si è evinto come questo dato fosse dovuto ad un banale effetto “pump”, siamo quindi davvero convinti che per ottenere una risposta ipertrofica sia preferibile se non indispensabile, fare un alto numero di ripetizioni? Da allenatore abituato a valutare le proprie scelte in modo più empirico che accademico posso dirvi che la risposta dal mio punto di vista è quasi scontata: NO.

Quello che verifico quotidianamente in palestra è che ad ogni aumento dei massimali dei ragazzi che alleno segue una marcata risposta ipertrofica e questo muovendosi per tutto l’anno in un range di lavoro tra un massimo di 8/10 e un minimo di 1 ripetizione.

Volendo ragionare di numeri la questione è perfino più evidente, se teniamo per buono l’ultimo studio preso in esame che parla di volume allenante e anzi vi aggiungiamo un parametro in più ovvero il carico, emergerà un dato in grado di quantificare il numero di kg sollevati in un singolo allenamento ovvero il tonnellaggio (serie x reps x kg) riuscendo a descrivere in modo più accurato l’entità dello stress meccanico apportato da una seduta allenante.

Ed è proprio grazie a questo numero che possiamo intuire come fare 4 serie da 10 ripetizioni (4×10) non equivalga a fare 10 serie da 4 ripetizioni (10×4), a fine di entrambi gli allenamenti avremo effettuato 40 ripetizioni totali, ma nel primo schema a parità di buffer e caratteristiche tecniche (alzate valide) potrò utilizzare molti meno kg che nel secondo schema e ciò renderà almeno sulla carta il 4×10 uno stimolo più blando del 10×4 a parità di buffer.

 

 

E’ POSSIBILE FARE UN PASSO IN PIU’?

 

Lo abbiamo già iniziato a suggerire nella prima parte dell’articolo: quello che davvero conta è lo sviluppo di un processo di crescita, muscolare, coordinativa, tecnica ecc.. E come ben sappiamo questo processo non è mai lineare,

la capacità di strutturare un programma di allenamento non si riassume nel tentare di alzare l’asticella della prestazione o della quantità di stress meccanico nel modo più fantasioso possibile ad ogni allenamento,

questo è lo stesso genere di bias che induce una persona sovrappeso (poco informata) a credere che per dimagrire serva semplicemente diminuire il più possibile le calorie, ed in parte è evidente che potrà servire mangiare di meno, ma se voglio perdere ad esempio 30 kg è inesatto e pericoloso pensare di farlo diminuendo in modo lineare la quantità di cibo ingerito giorno dopo giorno/settimana dopo settimana perchè così facendo incorrerò in un aumentato rischio di effetti indesiderati quali, stalli nel processo di dimagrimento a causa di una soppressione del metabolismo, aumentato rischio di sviluppare disturbi alimentari, carenze nutrizionali, perdita ingente di massa magra, energie insufficienti per la giornata e così via.

Questo parallelismo con la nutrizione serve a farvi capire che è abbastanza fine a sé stesso chiedersi quale sia il numero di ripetizioni ideale per diventare più grossi o più forti, perchè implicitamente ponendoci questa domanda stiamo dando per scontato che sia proprio quello il fattore determinante in grado di farci progredire, quando in realtà non è così. Nell’ottica di un powerlifter non è interessante essere capaci di fare oggi 10 ripetizioni al 70% di squat e domani 12, soprattutto se non sappiamo se quelle 2 ripetizioni in più siano state eseguite con un tipo di tecnica utile a permettermi di chiudere un carico massimale, che differisce moltissimo dal tipo di tecnica ideale a fare il più alto numero di ripetizioni possibile con carico medio-basso, soprattutto se non sappiamo se quelle 2 ripetizioni in più siano inoltre valide in gara oppure no.

La cosa utile è invece da allenatori imparare a rispettare i tempi di adattamento di un qualsiasi soggetto sapendo programmare le sedute in cui cercare di alzare l’asticella, gli allenamenti più pesanti, in modo tale che il nostro atleta arrivi sotto il bilanciere con tutti i presupposti allenanti necessari a permettergli di superarsi portando a casa se richiesto dei personal record. Al contrario in altre giornate dobbiamo prevedere la possibilità di fare un passo indietro in termini di overload, approfittandone magari per lavorare su altre variabili relative ad esempio al controllo motorio, al rinforzo di porzioni dell’alzata in cui manca capacità di attivazione, al recupero ecc.. per permettere poi a chi alleniamo di fare due passi in avanti nei giorni seguenti.