Mobilità nell’allenamento della FORZA.

di Nicola Marini.
Docente Accademia Italiana della Forza.
Allenatore Vikings Veneto Powerlifting.
Studente in Osteopatia.

Un po’ come sempre accade quando il mondo virtuale non è mediato da una analisi critica a monte, ci sono argomenti che saltano alla moda del momento. Da qualche mesetto si fa un gran parlare di mobilità anche nel mondo del Powerlifting.

Siamo abituati a pensare alla mobilità come ad un elemento dell’allenamento in grado di portare esclusivamente benefici all’atleta. E’ davvero così? Risulta evidente quanti vantaggi abbia curare la mobilità articolare, ed è evidente come una buona dose di lavoro di mobilità sia più che necessario per il benessere e per la prestazione dell’atleta o dell’appassionato.
La domanda è: c’è un TROPPO? Quanto è facile perdersi in lavori eccessivi?
Per anni anch’io ho commesso l’errore di pensare al corpo a compartimenti stagni.

Volevo che un ragazzo diventasse più forte di panca? Facevo fare lui tutto ciò che serviva per migliorare la sua panca, idem per lo stacco e per lo squat , senza soffermarmi più di tanto sulle conseguenze che queste scelte pensate per “la singola alzata” potessero avere sulle altre due e sulla sua condizione fisica in generale.

Migliorare la propria mobilità in zone di restrizione è un vantaggio, e questo è chiaro come la luce del sole. Ricercare un ipermobilità in un atleta di forza lo è? Forse no!

Partiamo da un punto fermo: ai mondiali di Powerlifting vedrete gente MENO mobile rispetto a quelle che potete trovare al teatro Bolshoij tra i ballerini di danza classica. Questo è chiaro. Essere molto mobili in uno sport che preveda l’utilizzo di sovraccarichi è un problema, perchè crea zone di instabilità. Un aumento del rom articolare è quasi sempre dovuto ad una lassità dei tessuti molli che dovrebbero stabilizzare quell’articolazione.
Però occorre fare un passo più addentro la questione.

Quando essere meno mobili nel Powerlifting è meglio?


So che può essere un titolo di paragrafo abbastanza paradossale, però: nell’ultimo anno ho collaborato con ragazzi provenienti da altre discipline sportive, alcuni di loro avevano una mobilità articolare ed un’elasticità muscolare, per i miei canoni, fuori dal comune.

Non appena li misi sotto il bilanciere però, (ad esempio in uno Squat) il problema fu lampante, non riuscivano a sviluppare tensione muscolare sotto carico.

Ad esempio parliamo della buca nello Squat. Una zona iper problematica , in cui addirittura non tutti riescono ad arrivare di primo acchito. Arrivare in buca, a questi ragazzi (cioè fare l’accosciata completa) procurava la stessa tensione muscolare del rimanere a ginocchia estese in partenza, cioè nulla! Sia in positivo che in negativo. Cioè non riuscivano ad accumulare quella stabilità su cui poggiare la spinta, perchè troppo morbidi contro il carico.

Spostandoci sullo stacco, mi rimane impresso il caso di N.  La prima strada che mi sentii di provare con un ragazzo dotato di una mobilità simile fu quella che ci consentiva (sulla carta) di sfruttarla a nostro vantaggio, utilizzammo un approccio rilassato sul tratto toracico , più stabile sul tratto lombare .
Nel video un chiaro esempio di chi, causa un’ottima mobilità articolare della colonna, fatica a trasferire la forza dal basso.

Durante la fase di partenza per il primo pezzo di salita accadde quello che mi aspettavo: le braccia si allungavano verso il basso come fossero gomma, il soggetto si metteva sempre più “in piedi” salvo poi sbilanciarsi improvvisamente non appena il carico si fosse staccato del tutto da terra. Anche qui, poca reazione al carico.

Per risolvere il problema , e consolidare il lavoro sul punto corretto abbiamo abbassato leggermente i carichi e gli ho chiesto di fare del lavoro in tensione continua sullo stacco. Le serie seguenti erano da subito nettamente diverse, stavolta nessuno sbilanciamento. Però tutto fuorchè il punto di partenza ideale.

Fin da subito iniziai a chiedermi perchè quel tipo di lavoro avesse dato una risposta così chiara e veloce: aveva avuto davvero la tipica funzione propriocettiva che si attribuisce a questa variante o c’era qualcosa di più?

Eppure di lavori che avrebbero dovuto consentire al soggetto di mettersi in spinta sul punto corretto ne avevamo provati, tra cui fermi in punti vari, isocinetiche ecc.

Negli allenamenti successivi il problema sullo stacco si ripresentò, e anche questo mi portò a pensare che forse quel breve lavoro in tensione continua che lo costringeva a muoversi sempre con un carico in mano, fosse riuscito a creare una momentanea rigidità muscolare che gli ha consentito di stabilizzarsi prima di spingere.

Tensione Continua nell’allenamento della FORZA : Quando , Quanto e Perchè.

Dopo questa esperienza , ho iniziato a guardare con occhio leggermente diverso le alzate dei ragazzi che alleno.

Soprattutto ho notato come lo stacco potesse essere lo specchio ideale per valutare quanto la struttura fosse in grado di stabilizzarsi sotto carico, visto che è privo di eccentrica. In particolar modo mi sono focalizzato sul comportamento del bacino in partenza, e  del tratto lombare.

Queste sono 2 immagini della posizione che Matteo ha scelto per partire in due alzate di periodi ben distinti, pur avendo avuto sempre gli stessi input, sono nettamente diverse.

La migliore, è certamente quella di destra. Perchè? Perchè a sinistra è più “seduto” ed il bacino è più ruotato e lontano.

In questo caso il suo corpo ha fatto una scelta, ha scelto di mettersi in quella posizione per avere più tensione “dietro” , per sentirsi più sorretto muscolarmente  quando è in basso , più in appoggio. Anche al costo di sbilanciarsi in avanti poi in partenza.

Al contrario nella foto di destra la settimana prima mi diceva di quando si sentisse “corto” a livello di femorali e glutei.

Tra le due foto è cambiato ovviamente anche il lavoro sullo squat , in quella di sx lo squat era svolto con zero varianti, a frequenza settimanale alta, con carichi facili e volumi di lavoro abbastanza alti , in quella di dx invece venivano utilizzate molte varianti specie con tempi in discesa rallentati e la frequenza era più bassa.

E’ evidente dunque come il grado di elasticità muscolare della sua catena cinetica posteriore gli abbia suggerito più un tipo di posizionamento piuttosto dell’altro a seconda di come lui si sentisse stabile.

Manipolare l’elasticità muscolare.

Esistono degli strumenti che ci consentono manipolare l’elasticità muscolare, uno di questi è proprio il lavoro in tensione continua, molto banalmente uno Stacco rumeno correttamente eseguito riesce  a collegare muscolarmente il tratto cervicale/toracico  con la tuberosità calcaneare dove vi si inserisce il muscolo gastrocnemio, insegna  al corpo a coordinare le contrazioni muscolari per stabilizzare la posizione di tutte le articolazioni comprese tra questi due punti, incluso il rachide,  cosa importantissima durante uno stacco da terra, visto che si parte proprio ad anca flessa.

Nel Powerlifting ogni alzata prevede un inizio da un punto di tensione pari a zero, una fase di crescita fino ad un picco di tensione muscolare (che in panca e squat è alla fine della fase eccentrica, mentre nello stacco è durante la concentrica), ed un ritorno al punto tensione zero.

Il processo è riassumibile in:
T01
TMax
T02.
Queste fasi è importante vengano rispettate per risultare il più efficaci possibili. Il  che corrisponde ad accendersi in modo graduale sotto carico.

Immaginiamo uno stacco da terra in cui la spinta del piede arrivi dalla caviglia prima al ginocchio, il quale per un certo numero di gradi si estenderà fino a trasmettere la forza alle anche. A questo livello la spinta di piede deve attraversare il bacino, il quale riuscirà a distribuire bene le forze ascendenti al rachide lombare, solo se si troverà correttamente orientato nello spazio! Cosa che dipenderà in gran parte dall’elasticità dei tessuti che circondano l’osso iliaco , visto che contrarre attivamente glutei e ischiocrurali determinerebbe una rotazione del bacino stesso. Risulta evidente come una massa muscolare ipotrofica o priva di un certo tono, anche a riposo, non possa garantire sufficiente stabilità sotto carico.

Caso ancora diverso è quello in cui il Rom articolare superi abbondantemente l’UTILE. Poniamo stavolta che il bacino sia ben stabilizzato,  ma che il rachide lombare sia particolarmente lasso a livello legamentoso (leg ileolombari, longitudinale anteriore, interspinosi, intertrasversari) in questo caso , verosimilmente le vertebre lombari verrebbero portate in estensione o flessione (a seconda del posizionamento del bacino, ma anche a seconda della presenza o meno di direzioni facilitate a livello vertebrale) dalle forze ascendenti. Nel primo caso si verificherebbe una convergenza  vertebrale (in base al movimento dei processi spinosi) oltre il livello normale, creando maggiore stress alla parte anteriore delle fibre dell’anulus fibroso dei dischi intervertebrali ,nel secondo caso una divergenza , con parametri di stress invertiti.

Nelle zone prive di tensione muscolare il carico è scaricato passivamente quasi del tutto sulle articolazioni , cosa che se associata ad una muscolatura molto elastica e poco tonica, può determinare nel tempo un’usura più rapida delle strutture legamentose , tendinee e cartilaginee, oppure dei vizi posturali.

Il confronto quotidiano con atleti di alto livello mi ha portato inoltre a tenere conto di come molti di loro quando siano “in forma” , risultino in difficoltà nel muoversi liberamente in accosciata senza un carico sufficientemente pesante sulle spalle che li aiuti a distendere la muscolatura posteriore della coscia in buca, o addirittura in qualche caso limite come quello di Davide Lovison nello stacco , senza un carico tale da farlo sentire piantato per terra qualche istante in più  finisce per bypassare quasi del tutto la spinta di gamba iniziale con il semplice incastro del bacino.

Il lavoro in tensione continua può essere inserito in sessioni a parte o addirittura subito prima dell’alzata cui desideriamo fornire stabilità , molto dipende da quanto il soggetto ne abbia bisogno, personalmente ciclizzo questo tipo di lavori nel programma un paio di giorni prima di un allenamento pesante , lo consiglio invece fatto subito prima dell’alzata solo in ragazzi particolarmente lassi o in fase riabilitativa.

In questo ambito abbiamo notato come sia molto utile alla prevenzione degli infortuni.

Esempio di lavoro :

Soggetto Target : atleta con lassità/instabilità lombari e sacroiliache , tendenzialmente lamenta dolorabilità nei tratti descritti sotto carico e incapacità nel mantenimento del posizionamento del tratto ileo-lombare in eccentrica e/o concentrica.

Squat : movimenti a velocità rallentata in tratti dell’alzata sicuri e consolidati e/o fermi lunghi , in cui le articolazioni risultano ben stabilizzate, molto consigliati lavori con box squat alti (andando nel tempo via via a scendere) , per chi ne ha possibilità ho verificato essere utile anche del lavoro in deloading con elastici visto che ci toglie sovraccarico nelle zone più delicate e critiche dell’alzata.

 

Stacco :

 

Sett. 1 :

Giorno 1 :  – Stacco Rumeno con fascette (focus sul mantenere le curve fisiologiche della

colonna) : 5x3sx45% , 3x4sx55%

– Stacco da gara con fermo in incastro : (3×60% , 2×65% , 1×70%)x2

Giorno 2 :  – Stacco da gara blocchi bassi (attenzione sul posizionarsi come se il bilanciere

fosse a terra) : 5x5sx70%

– Stacco da gara in tensione continua discesa e salita in 4 secondi con fascette :55% 6 x 3 serie

 

Sett. 2 :

Giorno 1 : – Stacco Rumeno con fascette  : 5x3sx45% ,  3x4sx55%

– Stacco da gara con fermo in incastro : 4x6sx60%

Giorno 2 :  – Stacco dai blocchi bassi : MAV 3

– Stacco da gara in tensione continua discesa e salita in 4 secondi con fascette : 60% 4 x 4 serie

 

Sett. 3 :

Giorno 1 : – Stacco Rumeno con fascette  : 5x3sx50% ,  3x4sx60%

– Stacco da gara con fermo in incastro : (3×65% , 2×70% , 1×75%)x2

Giorno 2 : – Stacco da gara blocchi bassi: 5x5sx70%

– Stacco da gara in tensione continua discesa e salita in 4 secondi con fascette 60% 6 x 3 serie

 

Sett. 4 :

Giorno 1 : – Stacco Rumeno con fascette  : 5x3sx50% ,  3x4sx60%

– Stacco da gara con fermo in incastro : 4x6sx65%

Giorno 2 : – Stacco dai blocchi bassi : MAV 3

– Stacco da gara in tensione continua discesa e salita in 4 secondi con fascette : 65% 4 x 4 serie

 

 

La domanda finale quindi ora è : “Come e quando lavorare sulla mobilità articolare?” .

E’ evidente quanti vantaggi abbia curare la mobilità articolare, ed è evidente come una buona dose di lavoro di mobilità sia più che necessario.
La domanda è: c’è un TROPPO? Personalmente con i ragazzi che alleno mi preoccupo, prima di inserire un lavoro di specializzazione sulla mobilità, di valutare alcuni parametri.

1 . Sono presenti restrizioni di movimento rispetto “l’utile” ?

2 . Sono presenti asimmetrie?

3 . Quali conseguenze avrò rispetto la stabilità su tutte e 3 le alzate?

Se le risposte a queste 3 domande sono chiare, allora saremo anche in grado di porre rimedio a eventuali conseguenze negative delle nostre scelte, ma soprattutto minimizzeremo le possibilità di fare danni.