a cura del Dott. Federico Fontana
Da un anno a questa parte, ho la fortuna e l’opportunità di lavorare per una società di Rugby.
Mi occupo di seguire circa 90 atleti nella preparazione coi sovraccarichi; o meglio, nella preparazione coi movimenti della pesistica olimpica per renderli funzionali ad uno sport di squadra.
Il WL entra quindi nel mondo dello sport, e il mio obbiettivo è far comunicare al meglio questi due mondi.
Ma non si è sempre detto che il Wl necessità di anni per poter apprendere il gesto e per poter maneggiare carichi allenanti? non è quindi uno spreco di tempo e risorse?
Vero, in parte… in qualche modo bisogna pur partire però, e piuttosto di niente è meglio piuttosto.
Con alcune eccezzioni però.
Quali sono quindi i presupposti?
Nella preparazione sportiva coi sovraccarichi, l’allenamento della forza è una componente fondamentale del processo di specializzazione sportiva.
Esso deve essere essenziale, tale cioè che l’incremento della forza ottenuto possa essere trasformato ed utilizzato nella tecnica specifica.
L’utilizzo degli esercizi di Strappo e Slancio è una delle possibili strade che si possono percorrere; l’unico problema è che stiamo parlando del livello più difficile da approcciare, il 9b+ dell’arrampicata sportiva.
Gli step da affrontare per l’avvicinamento alle tecniche olimpiche di sollevamento pesi, dovranno avere la caratteristica di essere studiati appositamente per arrivare ad un approccio intelligente ai sovraccarichi, permettendo di usare la qualità come parametro base, proiettando verso il futuro il proprio lavoro per facilitare i progressi a lungo termine, e insegnando ai giovani a spingersi vicino alle proprie potenzialità, evitando un cattivo stimolo; inevitabile in un lavoro non individualizzato alle caratteristiche di crescita tipico dei programmi troppo standardizzati.
Ogni giorno ho sottomano molti ragazzi, ed ognuno ha un bagaglio motorio e psicologico differente. Non è impossibile partire; bisogna solo sviluppare la capacità di valutare il livello iniziale di ognuno per poterlo proiettare verso la strada per lui più produttiva.
La vera essenza della didattica della pesistica olimpica è un’opera di continuo adattamento.
La parola adattamento non deve però essere intesa come la pratica che modifica l’esercizio in funzione del soggetto; è solo il percorso per insegnarlo che viene modificato.
Il risultato finale DEVE essere uno: la corretta ed efficiente tecnica esecutiva.
Questa da transfert sul campo; i compensi e i compromessi no!
Bisogna infatti stare attenti a non adattare la pesistica agli atleti, o viceversa, perché sono entrambe strade sbagliate che snaturerebbero l’essenza e l’utilità di esercizi come lo strappo e lo slancio.
Per un problema articolare non riesci ad estendere completamente i gomiti sopra la tesa con le mani a larghezza strappo?! Oppure non riesci ad appoggiare il bilanciere sulle clavicole dopo una girata?!
Potrebbe benissimo essere il primo un problema di fiducia o di schema motorio, e il secondo di tecnica scorretta; allarga la presa e vedrai che “girare” ti riuscirà meglio.
In tali casi, anche se non puoi usufruire delle alzate olimpiche traendone il loro vero beneficio ora, lo potrai probabilmente fare nel lungo periodo.
Disabilità non significa inabilità. Significa semplicemente ADATTABILITA’.
Attenzione quindi, nella fase di apprendimento, c’è molto altro che su di te può funzionare bene fino a che tu non riesca a colmare i tuoi limiti odierni e a raggungere una pratica allenante profiqua, fatta in maniera preponderante di strappo e slancio.
C’è molto da lavorare prima di trarre conclusioni affrettate.
L’approccio all’allenamento è facile. Sono le aspettative sbagliate a renderlo difficile.
SFRUTTARE LE POTENZIALITÀ DELLA NEURO-MACCHINA UMANA
“Le abilità che l’essere umano può sviluppare possono essere portate avanti fino alla morte dell’individuo stesso. E’ qui che sta il bello del gioco.
Se compiliamo la graduatoria degli animali più precocemente competenti, l’uomo fa la figura dell’imbranato. Impiega più di dieci anni a diventare autonomo, e nella società attuale questo lasso di tempo spesso si triplica. Se tale lento processo avvenisse nel regno animale tutte le specie sarebbero estinte.
L’animale presenta molti più comportamenti innati, che però vogliono dire connessioni neuronali rigide e altamente pre-formate, e inesorabilmente legate ad ambienti altamente specifici. Se l’ambiente muta, quei comportamenti diventano inefficaci.
I non specializzati viceversa, noi, possiamo adattarci a QUALSIASI cosa. E possiamo, a qualsiasi età con tempistiche diverse, APPRENDERE… sempre e continuamente!
Sruttiamo il fatto di avere un cervello parzialmente incompiuto, che ci permette, dedicandoci una parte importante di tempo, ad apprendere nuove capacità specifiche.”
Da: “Perseverare è umano”
Pietro Trabucchi
2012
Sono fermamente convinto che sia meglio intraprendere una strada difficile e portarla avanti, che continuare a cambiare verso strade più facili. Perché? Perché abbiamo le innate capacità per farlo e sarebbe un peccato non provarci; rischiando poi di venire fulminati come San Paolo sulla via di Damasco.
Avvicinatevi al meglio alla pesistica e vedrete come un approccio intelligente darà i suoi primi modesti frutti già dal primo allenamento.
Come scelta nell’immediato non darà i risultati che “promettono” le strade facili, ma col tempo la differenza a vostro vantaggio sarà incolmabile.
Non diventiamo i conquistatori dell’inutile!
Il come perseguire questa strada passa inesorabilmente da un’unica strada: dedizione e moltissime ore di lavoro! La qualità non è mai figlia del caso.
Interessante è uno studio a tal proposito di K.A. Ericsson, The Role of Deliberate Pratice in the Acquisition of Expert Performance, edito in Psychological Review che formula “la regola delle 10.000 ore”.
L’autore ha dimostrato che le grandi prestazioni in QUALSIASI campo, sono frutto in maniera preponderante dall’esercizio costante più che dalle capacità innate. E che le potenzialità per trasformarsi in successo concreto non possono prescindere dal duro lavoro.
Senza dimenticarci i fondamentali aspetti di piacere e senso di competenza.
L’eccellenza sta nell’abitudine!
Il mio lavoro vuole essere l’incontro di questi 3 punti chiave.
Impegno costante, piacere, senso di competenza.
Volete usare il sollevamento pesi come attività extra-specifica?! Benissimo, fattibilissimo! Dovete però mettervi in mente che ci sarà da lavorare parecchio.
Serve tempo e forza di volontà perché a volte è possibile abbandonare la strada vecchia per la nuova.
Ogni persona ha una struttura muscolo-scheletrica diversa che la porterà a mantenere, o meno, certe posizioni corporee peculiari degli esercizi della pesistica.
Iperestensione della colonna, mobilità scapolo omerale, lunghezza dei segmenti ossei, mobilità articolare, ecc… e questo è probabilmente lo scoglio più difficile da sormontare e valutare.
Chi è in grado, prosegue, chi meno, INTANTO, impara dell’altro.
Cosa significa altro? Significa propedeutica olimpica, esercizi derivati dal powerlifting e dallo strongman; sempre però dedicando parte della seduta alle tecniche olimpiche.
Significa trovare per ognuno la strada ottimale per perseguire un obbiettivo comune: creare la migliore base per avere un trasferimento di capacità indiretto in campo; senza perdere tempo in cose inutile o infruttose sul breve periodo.
Se la vostra chiave di successo è la capacità di svilupparre un alto RFD e un basso ESD, come esposto da Ado Gruzza nel suo articolo che tratta questo argomento, state certi che se passate al sollevamento pesi in maniera intelligente i benefici saranno ovvi.
Per fare ciò però, come ormai sarete stanchi di sentire, è necessario passare dalla TECNICA, dall’espressione di velocità e di fiducia. Nel sollevamento pesi, se non fai parte di quel 2% di soggetti che possiedono innate capacità, se non sei tecnico i chili non li fai.
Solo un lento apprendimento permetterà il consolidamento di connessioni neurali sempre più fitte ed indirizzate all’esecuzione dello schema motorio il più vicino possibile alla perfezione.
Come ogni cosa, anche questa va IMPARATA.
“LA PRATICA RENDE PERFETTI. MA SOLO LA PRATICA PERFETTA”
per approfondire consiglio lo studio di un articolo di Andrea Biasci che affronta il discorso
“È un errore soltanto se lo commetti due volte”
Yamamoto Tsunetomo
Il sistema nervoso infatti, quando parliamo di movimento, impara, nel senso più intimo del termine, quando una perturbazione esterna modifica il bagaglio motorio presente; mediante due vie:
Primo, monitora e integra segnali sensoriali interni e usa tali informazioni per modificare direttamente la posizione del corpo nello spazio.
Questo controllo momento per momento è chiamato feedback control.
In tale sistema, chiamato anche dagli aglosassoni servo-control, i segnali sensoriali sono comparati istante per istante con uno stato ideale, con una tecnica di riferimento chiamata appunto reference signal. La differenza, o error signal, è usata per aggiustare l’output.
E chiaro quindi che tutti nel cervello, quando eseguiamo qualcosa, anche nei primi istanti di apprendimento, abbiamo un modello di riferimento; che sia l’amico che si allena vicino a noi, il video su youtube o la nostra esperienza passata. Non ci sono cazzi! Il cervello senza che voi possiate controllarlo, passa da qui. Il reference signal è… la tecnica.
Migliore ovviamente è questo modello di riferimento migliore sarà la correzzione che daremo.
E’ altrettanto importante sottolineare come questo sistema sia definito chiuso, o closed loop; ciò significa che esiste una retroazione del sistema stesso, che può essere alterata mediante la modifica del modello di riferimento. Ecco che entra in gioco l’esperienza e i “chilometri nelle gambe”.
Secondo, il sistema nervoso usa una moltitudine di sensi, per esempio la vista, l’udito, la percezione tattile e quindi propriocettiva, per individuare perturbazioni inattese ed iniziare ad attivare strategie preattivanti basate sull’esperienza. Ripeto, basate sull’ESPERIENZA. L’esperienza nel nostro caso è di nuovo… la tecnica! Una tecnica ottimale permette di far fronte al meglio, centimentro per centimetro, all’esecuzione di un movimento.
Tale modalità anticipativa è chiamata controllo a feed-forward.
Sta tutta qui l’importanza di apprendere uno schema motorio corretto e di saperlo trasferire in molteplici occasioni. E va da sé che più il movimento da apprendere è complesso, maggiore sarà il bagaglio esperenziale a cui potremo attingere per controllare il nostro corpo mediante feedback o feed-forward in occasioni diverse.
DAL COMPLESSO AL SEMPLICE
Famosi sono gli studi di Donald Olding Hebb, che per primo parla di MOTOR EQUIVALENCE. Indagando come il sistema nervoso destruttura compiti motori complessi in movimenti elementari stereotipati e con caratteristiche temporali più semplici.
La rappresentazione neurale di compiti motori complessi è fatta da successioni di elementi semplici. Più un compito motorio è complesso, più sono gli elementi semplici che lo compongono e che possono essere poi utilizzati in contesti diversi. Più ho tasselli a disposizione da usare, maggiori sono i compiti motori a cui posso far fronte in modo efficace.
Durante il percorso stesso di apprendimento, sono molti i sub-tasselli che nascono e crescono.
Una delle felici conclusioni che traggo ogni giorno vedendo i miei ragazzi allenarsi è che, infatti, l’intero anno alle spalle in cui abbiamo lavorato praticamente solo di tecnica, non è stato tempo sprecato.
Tutti hanno acquisito mobilità e controllo muscolare; posseggono una sensibilizzazione dell’apparato muscolo-scheletrico-recettoriale molto più fine; ciò si traduce in equilibrio, propiocezione, capacità cinestetica… che poi sul campo riescono a trasferire/trasformare per il loro sport. Esprimono maggiore velocità, hanno una struttura corporea più solida e soprattutto, stanno imparando ad acquisire FIDUCIA nell’uso del proprio corpo che ha imparato a ragionare in termini di movimento. NON di muscolo, di MOVIMENTO.
Ricordate che i gesti del PL o del Wl sono eventi?! Per esserlo devono passare da una condizione fondamentale spesso non considerata: la fiducia nell’eseguirli. Che a sua volta è figlia dell’apprendimento.
La fiducia, da quello che ho potuto constatare, è ciò che permette al corpo umano di mettersi nelle condizioni di sviluppare livelli di rapidità spaventosi (ovviamente a schema motorio consolidato). E non è prettamente questione di fibre muscolari o di coordinazione, ma bensì PADRONANZA del gesto tecnico.
Anche in un novizio, sebbene per una % minore di alzate, qualcuna è spaventosamente rapida.
Acquisite fiducia in un movimento tecnico è questo vi restituirà il massimo in termini di resa; la tecnica è ciò che rende un movimento muscolare complesso, in una serie di elementi più semplici; un’enormità di elementi più semplici. I quali, se coordinati temporalmente e spazialmente al meglio, possone essere trasportati in gesti diversi da quello che ha portato l’apprendimento.
La capacità di estrinsecare forza in contesti diversi ne è un esempio.
Si tratta quindi di disinibire il sistema nervoso dal controllo perenne che involontariamente vuole avere sui muscoli (ovviamente acausato da una vostra visione miocentrica), per trasferirlo al controllo del movimento che passa dall’uso dei muscoli.
I meri esecutori devono indirettamente essere controllati dall’evento tecnico.
Ed è una delle variabili più difficili da dominare, soprattutto se ci si avvicina al WL in età avanzata.
Attenzione, non ho detto che sia impossibile, ho solo detto che ci vorrà più tempo.
Quindi non vediate i lunghi tempi di apprendimento della pesistica olimpica come inutili o infruttuosi; se spesi bene sono meglio di moltissime altre cose.
Bisogna stra-provare prima di concludere se è la strada giusta da percorrere o meno.
Ciò che bisogna ficcarsi in testa è che per renderli fruttosi nel tempo, bisogna passare dalla corretta tecnica e dalla pratica costante!
L’unica cosa è affidarsi quindi a tecnici competenti già nelle prime fasi; nel primo passo verso il bilanciere dopo il riscaldamento.
Ciò che l’Accademia vuole fare è proprio questo; creare dei percorsi teorico-pratici formativi nell’approccio intelligente alle alzate olimpiche, come pratica extra-specifica del proprio sport.
Vi metteremo a disposizione personale qualificato che potrà, su ognuno di voi, trovare la strategia ottimale per l’apprendimento efficiente ed efficace degli esercizi della pesistica.
Compreso l’insegnamento di tutti quegli ausiliari che troppo spesso non sono nemmeno conosciuti. Il sollevamento pesi è fatto di moltissimi complementari di più facile approccio, non solo di strappo e slancio.
L’intenzione è inoltre quella di creare un percorso teorico che affronti le tappe principali dell’insegnamento delle tecniche di pesistica a sportivi di altre discipline. Quindi l’iter didattico più appropriato e le relative problematiche a cui si può andare incontro.
Verranno poi sviscerate alcune programmazioni intelligenti per rendere fruttosi gli allenamenti con i pesi nel contesto di una diversa disciplina come può essere il mondo dello sport di squadra e dello sport individuale.
Il tutto ovviamente condito da ore di estenuante pratica…
BIBLIOGRAFIA:
- “L’essenza della Forza” – di Andrea Biasci
- “Explosive Strength Deficit” – di Ado Gruzza
- “Principles of neural science” – Eric Kandel, J. Schwartz, T.Jessel
- Hebb DO. 1949. The organization of behavior: A neuropsychological theory. New york: John Wiley
- K.A. Ericsson. 1993. The Role of Deliberate Pratice in the Acquisition of Expert Performance. Psychological Review 100:3, 363-406
- Nissen MJ, et al. 1987. Attentional requirements of learning: evidence from performance measures. Cogn. Psychol 19:1, 32
A parte tutte le considerazioni su questo bellissimo articolo: che razza di qualità muscolare aveva David Rigert? Parliamone.
Una qualità muscolare incredibile!!!
Sarebbe il mio sogno, imparare strappo e slancio a 30 anni passati……attendo sviluppi da questo progetto, lo seguo con molto interesse.
Attenzione a non passare dal muscolo al movimento. Si resta sempre su una concezione periferica.
Le rappresentazioni cerebrali sono di azioni. Gli ultimi studi di Rizzolati hanno fatto vedere come cambi l’attivazione cerebrale e del sistema mirror tra un movimento afinalistico e un movimento con significato (ad esempio movimento della mano verso la bocca e portare alla bocca del cibo) anche se formalmente identici.
Altrimenti anche una leg extension permetterebbe di imparare lo squat (l’estensione del ginocchio c’è in entrambi i casi) ma penso che nessuno qui la pensi così.
Pensando all’allenamento nell’ottica di insegnare un’azione acquistano più senso gli esercizi fatti per imparare la tecnica. Infatti questi sono situazioni semplificate (per il carico, per la lunghezza del movimento, per gli elementi da controllare…) ma connesse con l’azione completa.
Mi trovi d’accordo sull’apprendimento dall’esperienza ma terrei conto anche che quest’esperienza debba essere discriminativa (vedi gli studi di Recanzone), come introduci con il discorso sul feedback.
E qui entra in gioco il discorso sull’immagine motoria (che prima o poi scriverò per bene). L’immagine è evocare ed essere coscienti di una rappresentazione (può avvenire su varie modalita: visiva, somestesica…). Soprattutto l’immagine motoria, nel sano, ha gli stessi paramentri di temporalità, spazialità e intensità del movimento ed attiva le stesse aree di un movimento vero (ad eccezione del fascio cortico-spinale). Anche da queste poche parole si può capire come l’apprendimento, e quindi la modifica delle rappresentazioni cerebrali, possa essere favorito anche da questo processo. Immaginare l’azione corretta permette di fare esperienza “mentale” e di preparare il sogetto ad un’azione corretta, sperimentandola poi anche fisicamente.
Marcoevfurn, sinceramente non ho capito il tuo commento. Non per polemica, questo non è certo il sito dove fare polemica: proprio non ho capito il punto del tuo intervento.
INTERESSANTISSIMO E GUSTOSO !!!!
LA SOLA LETTURA MI INVOGLIA A SPINGERE DEI KG SUL BILANCIERE !!!!
Molto molto bello !! Complimenti !!!
@Barney
Marcoevfum intende dire che è molto importante immaginare di fare squat oltre che farlo. Se ti fai una rappresentazione mentale questa ti può aiutare. Un pò come quando vedi i piloti di F1 o motoGP che a occhi chiusi ripercorrono il circuito per non perdere di vista neanche un millimetro della pista. A me sembra fondamentale questo aspetto. Anche perché per imparare bisogna imitare e per imitare bisogna attivare un processo mentale che implica per l’appunto immaginare l’esercizio che bisogna fare. Poi va bene serve un’allenatore e quant’altro, ma anche i consigli di un allenatore vengono filtrati dalla nostra mente elaborati e messi in pratica. Molti atleti sottovalutano ques’aspetto..
@Barney
Volevo dire 2 cose e cercare di portare la mia piccola esperienza di neuroriabilitatore e le basi teoriche di “come funziona il sistema uomo (emergenza di mente-corpo-ambiente)” per fare delle riflessioni.
Come ha detto grispa volevo sottolineare l’importanza che può avere anche l’immagine somestesica (quindi immaginare le stesse sensazioni cinestesiche, di peso, di pressione…, diversa dall’immagine visiva dei piloti, in cui la vista ha decisamente un’importanza maggiore che nei pesi) che andremo poi a sentire nell’esecuzione di quel gesto. Questo ha delle funzioni molto importanti:
– preparare e anticipare il gesto atletico, magari soprattutto nelle fasi difficili, e quindi avere una previsione del gesto corretto da effettuare
– Permette, fuori dall’allenamento, di modificare e migliorare (se l’immagine è fatta correttamente) la rappresentazione del gesto atletico e allenare il nostro cervello ad attivare quelle aree deputate a quella particolare azione in modo più efficace ed efficiente. Ripetere fisicamente tutto il giorno il gesto atletico è impossibile ma ripeterlo mentalmente si può fare in vari momenti della giornata, e anche questo porta all’apprendimento.
La parte sulla rappresentazione voleva essere uno spunto di riflessione sui concetti di rappresentazione presentati nell’articolo che sono, a mio avviso, obsoleti. Si parla di uno studio in cui è ancora presente la concezione Homunculare delle cortecce motorie e sensitive quando questa è stata ormai superata (vedi Shieber, 2001, “Constraints on Somatotopic Organization in the Primary Motor Cortex”).
Le rappresentazioni di movimenti complessi non sono composti da movimenti stereotipati ma da relazioni tra elementi corporei in interazione con l’ambiente per un determinato scopo.
Quindi gli esercizi complessi servono perchè hanno un significato per il sistema che è in relazione (presenta delle somiglianze ma anche delle differenze) con il gesto atletico complesso. Ad esempio lo squat va bene per “spingere di più” in mischia (scusate ma non sono un tecnico sportivo! 😀 ) perchè il senso dell’azione squat e dell’azione spingere ha delle connessioni mentre avere il quadricipite grosso da leg-extension serve a poco in mischia perchè il quadricipite come solo estensore del ginocchio resta un gesto afinalstico che non ha alcuna relazione con nessun movimento fisiologico.
Il concetto di azione come movimento con significato e tutto il lavoro sui neuroni mirror ha bisogno di più tempo per essere spiegato bene, sono concetti neurofisiologici nuovi e piuttosto complessi. Però è utilissimo, ad esempio, per capire come l’uomo apprende e perchè esiste già una rappresentazione, sia visiva che somestesica, solo guardando un’altro uomo che compie un’azione.
Grazie Marco per il bellissimo intervento. Il secondo, se posso permettermi un parere, decisamente più puntuale del primo.
Il punto della conoscenza è l’applicazione e il punto della didattica è la possibilità di rendere fruibile un concetto per modelli. Come l’atomo di Dalton è un modello errato ma che tutti comprendiamo benissimo allo stesso tempo i concetti devono essere finale e mai (a mio parere) iniziali in questi ambiti. Al corso istruttori il grosso valore dell’intervento di Caruana (che come forse sai tratta proprio di queste cose) fu quello di parlare con una semplicità assoluta. Perchè tutto ciò che è compreso è semplice, in fondo.
Il punto era proprio quello che dici tu (in parte) e che siamo macchine finalizzate alla funzione e non all’agente motorio.
Quando vorrai approfondire sei il benvenuto.
@Maurizio: anche a 30, ovviamente spendendoci sopra il tempo necessario, puoi imparare strappo e slancio! Certo, valutando la tua condizione di partenza. Se sei interessato segui gli sviluppi che sicuramente ti piaceranno!
@Ado: cazzo Rigert era mostruoso. A memoria nella -90Kg ha tirato una cosa come 170 e 190. Poi veniva dalla scuola di Vorobyov.
@Marco: Ciao Marco, sono contento che tu sia riuscito a tornare a commentare.
Ho avuto il piacere di leggere un tuo articolo trovato per caso in rete; oltre ai commenti a qualche Pocket qui in AIF…
Sicuramente l’intervento che fai, come ha sottolineato Ado, è di gran interesse e ha colto il problema.
Ciò che tengo a puntualizzare è che gli studi riportati nell’articolo vogliono riferirsi ai primi “sintomi” appunto di equivalenza motoria. Non tanto al fatto di smentire le teorie di Penfield e Woolsey.
Anche perché, da quello che so, ciò che è stato messo in discussione (già comunque sul finire dell’800) non è tanto la presenza dell’homunculus e del simiusculus, ma la loro organizzazione; in termini di confini “stretti”. Presa di posizione tra l’altro assolutamente più logica e con la quale io mi trovo d’accordo. Solo che non sono ancora riusciti a dimostrarlo con esattezza. Lo stesso Schieber lo ammette.
Questo per dire che i concetti presentati non sono obsoleti; puntano ad uso diverso degli studi citati.
Tu a quale ti riferisci?
Perché lo stesso Hebb, nel suo libro non tratta la presenza dell’ homunculs come unico dogma. Lo stesso Nissen lo fa, che tra l’altro lui pubblica proprio nell’ epoca in cui tali teorie sono messe più in discussione.
Ti chiedo poi una spiegazione a queste tue parole:
“Le rappresentazioni di movimenti complessi non sono composti da movimenti stereotipati ma da relazioni tra elementi corporei in interazione con l’ambiente per un determinato scopo.”
In pratica sembra quasi, parlo da ignorante, che questa “relazione tra elementi corporei” di cui parli, non sia di per se, e per te, classificata come “movimento”. Infatti poi metti in guardia dal guardare al movimento e non al muscolo. Mi sbaglio? La mia è solo curiosità Marco, perché mi interessa l’argomento.
Poi l’intenzione nascosta sotto la dicitura “elementi stereotipati” nell’articolo, coincide con quanto dici tu.
Anche perché la stessa origine del termine “stereotipo” lascia ben intendere un’ azione dettata da “relazioni stabili tra elementi corporei in interazione con l’ambiente per un determinato scopo”.
Ed è proprio questa interazione nata nel complesso, che permette la sua trasportabilità in contesti diversi.
E fondamentale creare “CONNESSIONI” appunto, trasportabili dal complesso al semplice.
Il tuo esempio sullo squat vs. leg ext rende benissimo il concetto come dice Ado.
Sono poi assolutamente d’accordo sull’importanza delle trasformazioni visivo-ideativo-somestetiche.
Ti chiedo però, come le applichi nelle prime fasi dell’apprendimento?
Qui si parla di schemi motori estremamente complessi che necessitano di molto tempo per essere interiorizzati. Ma soprattutto, la variabile più difficile da sensibilizzare è proprio la percezione del movimento del corpo durante il gesto.
Un novizio non avrà mai la capacità di sentire a priori le sensazioni evocate dal movimento; semplicemente perché non ne è capace. E io credo che nelle prime fasi, circa il primo anno di pratica nel WL, sia quasi anti-didattica l’applicazione di questo modello. Molto meglio attuare altre strategie.
Tu cosa ne pensi?
Poi ovviamente, e qua non si discute, l’immagine somestetica a livelli più avanzati diventa fondamentale!
Bellissimo intervento comunque Marco.
@Francesco: si in effetti Francesco era ora che ti mettessi in mente di spingere 🙂
Grazie a tutti per aver letto e apprezzato!!
Non pensavo che quell’articolo girasse ancora!:D
Allora…tanta carne al fuoco e mi riservo di rispondere con calma entro fine settimana prossima!
Io lavoro come fisioterapista a Schio/Santorso (il gruppo del prof perfetti,esercizio terapeutico conoscitivo.essendo di Verona forse ne hai sentito parlare)e adesso stiamo studiando il rapporto tra esercizio e realtà. Inoltre sto approfondendo gli studi e le esperienza dell’immagine motoria applicata su pazienti adulti,sia ortopedici che neurologici, in cui vi è una rappresentazione alterata dalla patolgia ma anche un’esperienza normale, e in età evolutiva, dove si deve favorire lo sviluppo del sistema percettivo e di una corretta rappresentazione partendo da (quasi) zero.
E da un po’ che sto pensando ad un articolo per tentare di fare un parallelo con il mondo dei pesi,finisco con gli impegni pressanti e mi ci dedico in settimana!
Secondo me sono argomenti difficili ma necessari
Allora aspetto con curiosità il tuo intervento!
Cerco di essere breve e conciso, spiegazioni più ampie le riservo a quando riuscirò a scrivere un articoletto fatto bene.
In riferimento all’Homunculus è vero che la teoria delle rappresentazioni multiple è, appunto, solo una teoria ma già vedere il comportamento umano e soprattutto quello che accade in patologia neurologica da’ una chiara visione che un’organizzazione somatotopica non è possibile.
Nel paziente neurologico puoi vedere come il movimento sia un’organizzazione estremamente più complessa rispetto a quella ipotizzata nella teoria homunculare con vie dedicate ad ogni muscolo. E’ chiaro come il movimento non parte solo dalla corteccia motoria ma è una funzione ampiamente distribuita sia a zone corticali che sottocorticali.
Un fenomeno su tutti è quello della Diaschisi (vedi Baron, 1986), in cui la ricaduta funzionale di una lesione è sempre più estesa dell’alterazione che dovrebbe provocare la lesione stessa (anche una volta riassorbito l’edema perifocale e riattivata la zona di penombra ischemica). In particolare si parla di talamo omolaterale alla lesione ecervelletto omolaterale.
Inoltre la lesione, a meno che non sia molto estesa, non danneggia mai tutta la funzione del soggetto ma la altera solamente. Ho visto pazienti con
alterazioni a livello di spalla e mano ma buon movimento del gomito, secondo una stretta visione homunculare questo non è uno scenario possibile.
O allo stesso tempo dovremmo vedere lesioni selettive in una zona motoria ma vi sono sempre delle alterazioni anche ad altri distretti.
Io penso che a livello statistico e a grandi linee ci sia una rappresentazione somatotopica, che è quella visibile dagli strumenti dell’epoca Homunculare.
Quello che vedo io nella pratica sono chiari esempi di un’organizzazione a mosaico come teorizzata da Gould (1986).
Da questo mi collego al problema muscolo-movimento-funzione(azione).
Nel 1982 Strick e Preston hanno trovato due rappresentazioni in zone diverse per i movimenti delle dita in relazioni ai compiti di riconoscimento di distanza tra 2 punti e discriminazione di superfici. Nello stesso anno Merzenich e Kaas hanno trovato rappresentazioni corticali multiple della mano (parlavano di 12 rappresentazioni). Infine tornando a Gould nella teoria delle rappresentazioni multiple descrive rappresentazioni di segmenti in relazione uno con l’altro e diverse rappresentazioni a seconda dello scopo di queste relazioni.
Pensiamo, ad esempio, a quando prendiamo una pesca: se dobbiamo prenderla per mangiarla, per sentirne la consistenza, per sentirne la superficie, per lanciarla… organizziamo l’interazione sempre in modo diverso. Per mangiarla sono importanti le relazioni di pressione tra il pollice e tutte le altre e un certo orientamento della mano, per avere una presa salda e orientare la pesca verso la bocca. Per sentire se è matura sarà importante soprattutto la relazione tra primo e terzo dito e anche polso e avambraccio si adatteranno in maniera diversa. Per sentire se è una pesca o una lampesca organizziamo la presa in modo tale da liberare delle dita che andranno a sentire la superficie. E ancora diversa è l’organizzazione se dobbiamo lanciarla.
Mi sono concentrato ai segmenti distali ma lo stesso ragionamento vale per gomito e spalla. Se ci pensate bene è chiaro come organizziamo le relazioni corporee a seconda dello scopo che vogliamo raggiungere.
Allo stesso modo noi possiamo eseguire un determinato compito con una variabilità e adattabilità impressionanti, ogni volta che prendiamo una pesca per mangiarla organizziamo l’arto superiore e tutto il nostro corpo a seconda del contesto in cui ci troviamo o anche se la situazione è la stessa identica l’organizzazione sarà leggermente diversa.
Pensare tutto questo sotto l’ottica di somma di movimenti stereotipati, secondo me, è impossibile. Con movimento stereotipato, come giustamente dici, si possono intendere “relazioni stabili tra elementi” ma io penso che di stabile nella nostra organizzazione non ci sia niente.
Organizziamo il movimento in maniera estremamente variabilerispetto al contesto e adattabile rispetto all’ambiente e per fre questo è necessaria un’organizzazione fatta di relazioni tra parti del corpo per un determinato scopo. Come sostiene Anochin (1967) noi siamo organizzati per sistemi funzionali, cioè “unità integrativa centro-periferica costituita al fine di soddisfare un determinato compito biologico o intellettuale”. Qui lo schema dell’atto comportamentale: http://www.laboratorioneurocognitivo.it/wp-content/uploads/2011/09/Anochin-b.gif (Nell’SA, sintesi afferente, ci sono la memoria delle esperienze passate, le afferenze propriocettive, le afferenze ambientali)
Nel paziente tutto questo non c’è, il movimento è sempre uguale a se stesso, non adattabile ai diversi contesti è non frammentabile (cioè massivo). Sia neurologico che ortopedico.
Questo ragionamento è trasportabile al mondo dei pesi. Prendiamo sempre lo squat.
Se il movimento fosse fatto a stereotipi avremmo sempre un movimento uguale all’altro, una volta appreso lo schema motorio. E allo stesso tempo quel movimento sarebbe utilizzabile solo per quei gradi articolari e in quella specifica situazione.
Invece siamo in grado di portare quello che abbiamo appreso in uno squat ad un movimento con funzione simile, come già detto. Consideriamo quindi le relazioni tra elementi corporei e ambiente in situazioni funzionalmente simili.
Riprendendo lo schema dell’atto comportamentale dalla memoria estrapoliamo tutte quelle situazioni simili (simili, non solo uguali) funzionalmente correlate, ed essendo persone sane siamo in grado di creare connessioni tra le esperienze in vari contesti, in cui il significato dell’azione era simile, per organizzare la condotta motoria adatta a quella specifica situazione. (Nel malato spesso manca questo processo di creare connessioni, l’esercizio e la situazione reale sono sconnessi e il malato non impara. Vuol dire che questa funzione di creare connessioni nel sano potrebbe essere una modalità organizzativa a livello inconscio).
Se ci organizzassimo per movimenti stereotipati uno squat non potrebbe mai avere effetto per un rugbysta in mischia perchè con lo squat sicuramente non hai uno stimolo allenante per gli stessi movimenti.
Se restassimo ai movimenti stereotipati allora avrebbe senso l’allenamento funzionale che va tanto di moda e che a me sembra una terapia occupazionale adattata allo sport.
Il transfert dei movimenti complessi della pesistica verso altri sport sicuramente esiste ma quello su cui sono in disaccordo rispetto al tuo articolo è il motivo. Non è perchè alleniamo movimenti modulari stereotipati ma perchè esiste una connessione funzionale e di significato tra i due contesti.
Si potrebbe anche inserire l’argomento del perchè è importante anche l’allenamento in campo. Anche se siamo sani, se non siamo abituati a creare queste connessioni il nostro cervello organizza lentamente il movimento e l’atleta non sarebbe in grado di far fruttare l’allenamento con i pesi. Anche il “creare connessioni” biologicamente sono collegamenti sinaptici quindi va allenato anche quello per sviluppare una maggiore efficacia ed efficienza.
Per l’immagine motoria è normale che all’inizio sia di difficile utilizzo. Ma li sta la bravura del tecnico.
Ti spiego a grandi linee cosa facciamo con i malati. A volte il malato neurologico non è nemmeno in grado di fare un’immagine somestesica ne del proprio corpo da fermo ne tantomeno in movimenti semplici. Addirittura alcuni non sono nemmeno in grado di fare un’immagine visiva (si pensi alle lesioni destre e al neglect).
In questi casi passiamo prima per un’immagine visiva, poi per immaginare il movimento al buio e infine si arriva (quando si riesce) ad un’immagine somestesica.
Il ruolo fondamentale è quello della guida all’immagine, cioè del FT per il malato e dell’allenatore per l’atleta. Stare attenti e immaginare tutte le sensazioni di un movimento è impossibile anche per il sano, è quindi necessario trovare la modalità d’immagine più corretta per quel soggetto e quali informazioni importanti mancano per ottenere uno schema motorio corretto.
I gesti atletici dei pesi sono fortemente somestesici, di visivo non c’è niente. Nessuno si guarda le gambe mentre fa squat o vede dove va il bilanciere. Nelle istruzioni dell’allenatore secondo me bisogna tenerne conto. Provate a pensare a quando si modificano di più i vostri atleti, provate a dare istruzioni più somestesiche che visive (ad esempio portare l’attenzione l carico sui piedi, a come il bacino sposta il carico…) (Per questa cosa sto pensando, come già anticipato ad Ado, ad un questionario da proporre ad atleti e allenatori).
A fini pratici dividerei appunto l’atleta principiante dall’esperto (inteso con schema motorio ottimale o quasi).
Al secondo è utile anche il lavoro d’immagine in solitario, immaginare somestesicamente più e più volte quello squat fatto perfettamente.
Al principiante, invece, bisogna insegnare sia il gesto motorio ottimale che come immaginare. Ricordando che l’mmagine può essere utilizzata come strumento di apprendimento per simulazione.
Ipotizzo a grandi linee uno schema, che ovviamente andrebbe provato e verificato (Per le operazioni eseguibili con l’immagine motoria vedere Farah M. 1994. Non ricordo il titolo però):
– far vedere uno gesto fatto correttamente. Sta all’esperienza dell’allenatore ipotizzare la variabile di quel gesto giusta per quell’atleta.
– analizzare assieme all’atleta i parametri somestesici fondamentali per quel gesto.
– far immaginare, anche riferendosi a condotte motorie simili, il gesto atletico
– far provare quel gesto con poco carico per eseguirlo correttamente (se è un gesto complesso si può anche suddividere in parti, come i classici step perraggiungere il gesto completo del WL) e far confrontare all’atleta quello che ha sentito con quello che si aspettava. Qui l’allenatore dev’essere un ottimo osservatore e vedere cosa sbaglia l’atleta per farglielo notare e guidarlo verso quegli aspetti.
– focalizzare, modificare, completare l’immagine se risulta diversa rispetto allo schema corretto. Se è lo schema motorio ad essere alterato rispetto all’immagine bisogna trovare quella situazione (come prima, anche suddividendo il gesto) in cui l’atleta lo esegue correttamente. La situazione pratica in cui si trova l’atleta non può essere troppo distante dalle sue possibilità.
– ripetere l’immagine e il confronto, con la guida dell’allenatore, nel susseguirsi degli allenamenti
Ruolo fondamentale è quello dell’allenatore che deve capire cos’è utile a quell’atleta e come accompagnarlo nell’apprendimento. Inoltre non è necessario far immaginare tutto ma, soprattutto per correggere la tecnica, focalizzare l’attenzione dell’atleta su quelle caratteristiche del gesto che non è ancora in grado di eseguire correttamente senza istruzioni.
In questo caso l’immagine è vista come uno strumento per l’apprendimento, in quanto consente di simulare un’azione o una sua parte che non si è ancora fisicamente in grado di fare e di preparare il soggetto a sentire quelle sensazioni corrette prima di eseguire il movimento. Importante è la fase di analisi e di confronto tra l’immagine e il gesto fatta con la guida dell’allenatore, permette all’atleta di capire cosa c’è di sbagliato e di modificarsi nei successivi tentativi.
Vi sono anche delle modalità di verifica dell’immagine. Come il tempo di elaborazione (l’immagine mantiene la temporalità dell’azione) la descrizione (che dev’essere completa) e la modifica al successivo tentativo se l’immagine fatta è corretta.
Questo è come io interpreto i concetti teorici e come potrei pensare di portare l’esperienza acquisita con il paziente al mondo atletico. Come già detto è da provare, riprovare e verifacare.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro, se no chiedete pure!
ciao marco, bell’intervento, ti ho letto con piacere.
Ciao Claudio!
In realtà non volevo scrivere così tanto ma poi una parola tira l’altra! 😀 Poi è da tanto che non scrivo su forum e simili e avevo bisogno di sgranchirmi le dita!
Quello completo arriverà… con calma però!
Bell’intervento Marco.
Mi trovi assolutamente d’accordo e tutto ciò che hai detto è corretto.
Ciò però con cui tutti i giorni mi scontro nell’insegnamento del WL (soprattutto con i giovani) è la difficoltà a mettere in pratica una prassi così perfetta.
Su 100 ragazzi, ce ne sono 10 che hanno le capacità mentali (concentrazione, determinazione, tenacia, ecc) per impegnarsi e usare in modo proficuo questa sorta di allenamento all’immaginare e percepire!
L’importanza delle istruzioni somestesiche è fondamentale. Nella nostra realtà è una fonte informativa nel rapporto atleta/allenatore fondamentale e molto usata.
Ciò che noto però, soprattutto in un principiante, è la difficoltà ad intervenire contemporaneamente durante il gesto su più frangenti, appunto “sensitivi”.
Credo che 2 sia il numero ideale di particolari che è possibile correggere contemporaneamente senza intaccare il movimento, o altre parti di esso.
Tu cosa ne pensi? Hai esperienza a riguardo nel tuo campo di studio?
Beh certo, c’è chi non è portato o non ne ha voglia. E qui sta la capacità dell’allenatore nel motivare la proposta di questo procedimento. Poi i miracoli sono impossibili e c’è anche chi non è in grado.
Tra l’altro, vista la multimodalità dell’immagine, non è detto che tutti utilizzino le stesse informazioni. Purtroppo non sono a conoscenza di studi al riguardo. Ma già sull’elemento a cui un soggetto porta l’attenzione c’è grande variabilità.
Sulla difficoltà a intervenire su più cose sono assolutamente d’accordo, soprattutto in un movimento complesso e che dev’essere fatto con la maggiore naturalezza possibile. Portando attenzione a tutto il sistema si “sovraccarica” e il movimento diventa meccanico.
Ma appunto qui entra l’allenatore, nel selezionare l’informazione più importante e dirigere con il linguaggio l’attenzione dell’atleta.
Con i pazienti noi procediamo, a step. Prima ci concentriamo su un particolare, poi un’altro ecc.. fino a considerare tutto. A quel punto cerchiamo di indirizzare il paziente ad una sensazione più globale che consideri tutti gli elementi.
Importante è il linguaggio per metafore. Misure articolari, di peso… non sono proprie della nostra realtà, ma durante qualsiasi movimento abbiamo una sensazione generale del corpe, a volte difficile da esprimere. La metafora può essere uno strumento per indirizzare il pensiero
Ad esempio i pazienti spesso parlano diun arto legnoso che poi si modifica verso sensazioni di libertà, leggerezza… con gli esercizi. Sarebbe una cosa interessante studiare quali metafore e come usare il linguaggio in modo efficace per un atleta.