a cura di Ado Gruzza

Dopo l’articolo uscito martedì su questo sito, riguardante l’esperienza atletica di Antonio Gardelli, sotto la supervisione del direttore tecnico dei lanci della ex Germania dell’Est, sono uscite parecchie domande.

Questo l’articolo in questione: IL PROFESSOR ARBEIT: I MECCANICI FERRARI E CHI TRUCCA GLI SCOOTER IN GARAGE 2

Domande: qualcuna decisamente interessante; qualcun’altra, come sempre accade, banale e qualcuna che potrebbe sembrare banale, però, a pensarci bene, non lo è.

Ecco vorrei parlare di questo, di questo e di Kandinsky, se me lo concedete.

Kandinsky non è il nuovo allenatore della squadra polacca di powerlifting, per chi ne avesse il dubbio.

Negli anni sessanta (non controllo le date su Wikipedia perché conta il concetto) un giovanissimo artista, artista di quella che chiamiamo Arte Moderna, prese le scene con un opera davvero provocatoria.

Era il tempo di Fontana, quello che tagliava le tele, e l’arte aveva preso un piega estremamente intellettualistica e puramente concettuale.

Questo giovanissimo milanese, diretto parente di Alessandro Manzoni, Piero Manzoni, ebbe un’idea travolgente. Sigillò le proprie feci in 90 barattoli (tipo quelli del tonno) ognuno del peso di 30 grammi. Titolo: “Merda d’artista”.

Per completare l’opera geniale, li mise in vendita all’esatto prezzo dell’oro determinato dal mercato dell’epoca.

Ovviamente, successo clamoroso, scandalo. Perbenisti increduli, appassionati affascinati dalla mossa geniale.

C’è chi pensa che sia stata tutta una farsa, c’è chi, secondo me con un po’ più di senno, pensa che l’atto provocatorio fosse arte in se stesso ed in quanto tale. Che il significato dell’opera sia stato insito nel suo essere così “assurda” e anticonformista, per l’epoca.

Di fatto il mercato ha dato ampiamente ragione a Manzoni. Oggi, i novanta pezzi di “Merda d’artista” valgono molto, ma molto di più della quotazione (attuale) dell’oro.

Tutto questo per dirvi cosa? Beh, Piero Manzoni era già un artista quotato e di successo quando ebbe quella trovata. L’avesse fatta un passante, sarebbe stato nient’altro che un gesto goliardico. E dico pure giustamente.

Spesso ci fidiamo troppo di quello che capiamo. Guardate un quadro di Kandinsky. Sembra che lo possa fare chiunque in ogni momento.
Benissimo, perché non lo fate, allora. Perché i Kandinsky si riconoscono lontano 1 chilometro. Fatelo pure voi, no? Non uguale, quello sarebbe una copia. Se sono tutte stronzate, se la quotazione di un artista è una balla, inventatevi una trovata che faccia parlare tutto il Jet Set newyorkese e vi frutti milioni di euro in vent’anni. Oppure fate un quadro che sia apprezzato e riconosciuto dalla maggioranza degli studiosi mondiale.

Ovvio che non è semplice, anzi.
Per questo la quotazione di un artista ha un senso, così come ha senso, nel nostro mondo, la quotazione di un tecnico.
La quotazione essenzialmente è il “credito” che un soggetto ha acquisito sul campo.

Dall’articolo scritto a due mani con Gardelli sono emerse metodologie usate dalla nazionale comunista tedesca, in cui Arbeit proponeva piramidali lunghi, tipo 12,10,8,6 eccetera.

Questa roba dovrebbe essere ormai assodato, essere superata e inefficace. Certo, siamo stati noi tra i primi a sottolineare la necessità di un approccio diverso.

Se me li fa il sedicente Strength Trainer di turno, lo “fanculizzo” in 0,3 secondi netti.
Però Arbeit non è il pallonaro che si presenta come Strength Trainer e poi fa il Personal ad Ostia d’estate. Arbeit ha allenato alcuni dei migliori lanciatore di tutti i tempi. Si è confrontato con esperti e specialisti di ogni dove.

Questo è uno dei motivi per cui occorre dare credito a certe opinioni.

Però non basta il credito. Occorre anche che il metodo proposto, a naso, rimandi a qualcosa di buono. Perché di preparatori atletici di buon livello che hanno fatto delle cagate assurde ce ne sono a pacchi.

Perché il piramidale del Professor Arbeit è da considerarsi una esperienza più interessante, del piramidale classico 12,10,8,6 del palestrataccio medio?

Svisceriamo la cosa punto per punto.

UNO – Il contesto denota una complessità di fondo molto più interessante. Arbeit per tre mesi (dico tre mesi) propone un lavoro alternato a carico fisso che fa dal 10 x 5 serie ad un impossibile 15 x 10 serie.

Ho visto un suo seminario in cui parlava di un 15 x 5 serie, e si trovano in giro protocolli per la parte alte in cui si alternano: distensioni con manubri inclinato, piano, declinato e molto declinato a 10 x 5 serie, entrambi una volta a settimana.

Costui cerca di creare una base di lavoro pazzesca. Costruire una rapporto con quell’esercizio tale da rendere l’atleta condizionatissimo al gesto.
Non si affida alle mere ricerche scientifiche fatte in laboratorio, che porterebbero (spesso erroneamente, molto spesso erroneamente) portare a protocolli molto più asettici, del tipo: cosa sviluppa le fibre bianche? Cosa mima il gesto e il tempo di gara, e amenità del genere.
Leggendo il programma nella sua completezza, chiaro è che Arbeit ha una idea in testa, e questa idea è complessa. Non è semplice, non è, come dice l’amico Buccioni parlando criticamente di alcuni programmini (ini, ini…) alla moda, eccessivamente geometrica.
Cioè ha una schematizzazione estremamente semplice, che porta per magia ad un risultato predefinito. Tipo i programmi su cui un autore a cui viene una idea, campa una vita, scrivendo un libro su un piano di lavoro al quale basterebbero 3 righe per definirlo.

Quindi si arriva ai piramidali lunghi (che ripeto, sarebbero il peggio del peggio, in teoria) dopo aver fatto un lunghissimo svezzamento a carico fisso, un disumano accumulo di lavoro.

DUE – La scelta del carico. Il palestrato, senza saper ne leggere ne scrivere, userà più o meno questo approccio:

> 12 x 70%
> 10 x 73% eccetera.

Arbeit invece propone un buffer molto ampio quando si usano tante ripetizioni. Buffer che diminuisci drasticamente quando il lavoro diventa espressamente neurale.

Questo è un altro indice di complessità.

Se le 10 e le 12 ripetizioni sono affrontate al 60% del carico massimale, abbiamo un buffer che è quasi del 50% ripetizione più, ripetizione meno. Che non è poi tanto lontano dal buffer di Prilepiniana memoria. Solo quando la piramide si stringe, a si passa ai lavori neurali, questo autore fa tirare il collo alla gallina. Anche se non lo sposo in prima persona, questo approccio mi sembra quanto meno interessante.

Quindi è questione di colpo d’occhio, vedete qualcosa che sembra buono e cercate di studiarlo.
Ho visto tanti programmi pensati per lanciatori. Non tutti mi sembravano buoni, questo si.

Anche le pianificazioni di Egger, hanno qualcosa di ottimamente strutturato, anche se credo che lavorino troppo sul muscolo e poco sul movimento. Se a qualcuno interessa, ne parleremo magari in qualche prossimo articolo.

TRE – Perché questo programma non “sfanculi”, secondo il mio modesto parere, occorre mantenere lo spread tra il primo carico usato e l’ultimo, il più corto possibile.

Intendo dire che, come ho sentito osservare da Poliquin in diversi contesti, in un lavoro simil piramidale, la distanza tra la prima serie allenante e l’ultima dovrebbe restare entro il 10 o 12% e non oltre.

Quindi:se fate la prima serie al 60% l’ultima non dovrebbe eccedere di molto il 70% e questo ad evitare una forte confusione di stimoli all’interno del corpo umano.

Tornando al palestrato medio, anche se per un invito esterno partisse al 60% senza dubbio, con la serie da 5 o 6 ripetizioni, terminerebbe attorno all’80% e oltre, con uno spread del 20%, che di fatto è davvero troppo.

Piramidali? Allenamento Vintage? Proviamo, però conteniamo il lavoro in:

a) carichi % adeguati;

b) siamo ben sicuri di avere la giusta preparazione;

c)  manteniamo un spread breve tra la prima e l’ultima serie.

Insomma, anche se un allenamento sembra “di merda”, se è d’autore, merita una considerazione.

Se un grandissimo della pesistica notassi facesse cose molto poco convenzionali, il primo istinto sarebbe capire perché le fa. Ultimamente leggevo un autore che proponeva il cedimento nei pesisti olimpici. Sembrerebbe niente di peggio. Se lo dice un “palestroide” lo configgereste. Vero?
Visto che costui ha allenato ad altissimo livello, vale la pena chiedersi, cosa c’è dietro?

Attenzione però: essere “autore” non significa essere famoso.
Se un quadro lo fa Bonolis o la Minetti, non vale “una sega”. Fidatevi dal solido e incorruttibile curriculum dato dai risultati. Ovviamente le medaglie olimpiche valgono solo se il tecnico era il primo tecnico dello sport specifico. Se avete provato la pressione due volte a Mike Tyson, non avete molto a che fare con il suo successo. Arbeit era il capo. Decideva lui, tutto. Non era un consulente.

Poi, una volta che si è capito il perché, si è provato, si è lavorato ed elaborato, fatto provare a più soggetti, allora si possono trarre conclusioni.

Perché la “Merda d’artista”, merita credito.