Di Simone Carniel.
Docente Accademia Italiana Forza.
Recordman Italiano Powerlifting
Lavora presso Reebok Officine Crossfit occupandosi primariamente dell’ambito Forza.

 

Crossfitter BUONGIORNO!

 

Lavoro da anni come Trainer a Milano in uno dei più importanti centri Crossfit d’Italia. Per questo vorrei parlare a loro, ma non solo.

 

Per quanto tempo sentiremo ancora parlare di battaglie tra high bar e low bar nell’allenamento della sessione di back squat?

 

Andiamo ad analizzare un caso studio particolare, partendo dai video di Stefano, Fittest in Italy da 9 anni consecutivamente. Nella sessione era richiesto di eseguire triple pesanti con lo stesso peso: alcune sono state svolte tenendo il bilanciere alto appoggiato sopra il trapezio, le altre col bilancere basso, stile powerlifter per intenderci.

High bar

 

 

Low bar

 

Se ci fermassimo a guardare soltanto la prima ripetizione dei tre video, la partita sarebbe chiusa qui: HIGH BAR TUTTA LA VITA. Ma il discorso non è così semplice. Sì, è vero, la più bella tra le prime ripetizioni è quella a bilanciere alto perché Stefano è più rilassato, scarica bene il peso a terra, la traiettoria del bilanciere è molto simile tra discesa e salita.

 

Poi, cosa succede nella seconda e nella terza ripetizione?

 

In high bar, il disastro totale: la linea della prima ripetizione non è ripetibile neanche con il binocolo, il divario tra discesa e salita diventa veramente grande (il cosiddetto “occhio” formato dalla traiettoria del bilanciere) e, quindi, l’alzata perde sinergia e diventa inefficiente a livello di stimolo allenante.

 

E nel low bar, tipicamente un’alzata con una complicazione in più?

 

Se ora, invece, andiamo ad analizzare le due serie in low bar, la differenza iniziale che balza subito all’occhio è la rigidità con cui mantiene il bilanciere sulla schiena già prima di partire. La fase eccentrica diventa quindi più rigida e più frenata rispetto all’high bar, ma la differenza tra le tre ripetizioni all’interno dello stesso set è molto più ridotta rispetto a quando aveva il bilanciere alto.

Ovviamente Stefano, per la sua matrice da crossfitter, è sempre stato abituato a lavorare in high bar, quindi sa cosa fare quando ha il bilanciere comodo sulle spalle. Per contro però, l’inefficienza sulla media/lunga distanza non gli da capacità di accelerare il bilanciere come invece il low bar gli consente di fare. Anche se il movimento è ancora molto grezzo e rigido, (quello che lo fa partire all’inizio un po’ posteriorizzato e finire in buca anteriorizzato, errore estremamente comune) il bilanciere in low bar da a Stefano un gesto tecnico più allenabile e una proiezione nel tempo, una volta “rilassato” nei punti giusti, di generare una linea più coerente e di conseguenza più efficace.

 

 

Ho preso l’esempio di Stefano, non tanto perché nel Crossfit è il più forte da molto tempo, quanto perché a livello strutturale rappresenta il 99% di chi si allena in un box: non a livello muscolare, chiaramente, ma il rapporto tra le sue leve è molto comune.

Se fosse stato un pesista cinese, la mia analisi sarebbe stata totalmente inutile e completamente diversa.

 

CONCLUSIONI GENERALI

 

Avendo avuto la possibilità di vedere una quantità infinita di squat in questi anni, e essendo responsabile della parte STRENGHT di BHT, posso osservare e confrontare tra loro tante tipologie di atleti diversi:

la necessità di renderli più efficaci sotto carico si scontrava con la voglia di verticalità “imposta” dal Weightlifting, che li teneva rigidi e poco efficaci quando poi il carico si alzava.

Abbassando il bilanciere, su chi più e su chi meno, una volta assimilati gli input corretti e il relax nei punti giusti, possiamo inevitabilmente vedere un miglioramento non solo nel massimale di back squat, ma anche nell’essere più efficienti in qualsiasi esercizio con schemi motori similari.

Quindi, ancora una volta, possiamo ribadire un concetto già sentito ma troppo spesso ignorato:

Il transfer di un gesto su altri schemi motori, dipende molto anche dall’efficienza neuromuscolare stessa del gesto di partenza, più che da un tentativo di imitazione, spesso disfuzionale, del gesto target che si vuole migliorare.