a cura di Fabio Prescimone

 

PRESUPPOSTI LOGICI

Come sanno bene tutti coloro che hanno un minimo di esperienza nell’allenamento, il rendimento fisico non è costante: ci sono giorni in cui siamo “in forma” e altri in cui le nostre performances accusano un calo. Questo succede perché lo stato di forma fisica è determinato dalla reazione del corpo agli stimoli esterni (in gergo stressors) e siccome questi stimoli non sono costanti, anche lo stato del nostro fisico non lo è.

Sono sicuro che nel leggere il paragrafo precedente, più di un lettore ha associato il termine stressor (e forse addirittura l’intero concetto di “stimolo esterno”) all’allenamento, soprattutto a quello con i pesi.

L’allenamento però non è l’unico stressor nella vostra vita, anzi, molto probabilmente non è neanche il più influente, a meno che non siate un atleta professionista, una persona, cioè, che al centro della sua giornata ha il lavoro sul proprio corpo, è sottoposto regolarmente a visite mediche, ha una dieta calibrata su misura, riposa quando deve riposare, si allena quando deve allenarsi, etc… Magari è una visione un po’ utopistica, alla Ivan Drago in Rocky IV, ma è un’immagine mentale utile per capire il discorso che segue, quindi concedetemela, anche se pecca di ingenuità.

Paragoniamo adesso questa situazione con quella (molto più realistica) di una persona normale, anche un atleta amatore o dilettante di alto livello: mangia compatibilmente con gli altri impegni (lavoro, famiglia, figli, svago, imprevisti vari), riposa quando e quanto può e arriva in palestra portandosi addosso il peso di tutta una vita che, contrariamente a quella del professionista, non è ottimizzata verso il raggiungimento della massima performance sportiva. E’ ovvio che in questo caso la resa in allenamento sarà molto più altalenante.

Lo stesso concetto vale per atleti (professionisti e non) che usano i pesi come ausilio nella preparazione fisica: l’allenamento specifico e la stagione agonistica influenzano l’attività in palestra, che deve essere calibrata in modo da non interferire negativamente con la disciplina principale.

In parole povere, passato un certo stadio (che definirei principiante, senza dare nessun valore dispregiativo al termine) è difficile calibrare in anticipo l’allenamento, perché ci saranno giorni e giorni decisamente no.

Ecco che ci viene in aiuto il concetto di autoregolazione: è un modo (anzi, tanti modi, come vedrete) di adattare in tempo reale l’allenamento allo stato di forma del soggetto, permettendogli di spingere forte quando sta bene e di diminuire la mole di lavoro quando non si è in forma.

Ora, questo principio generale potrebbe provocare qualche disorientamento: le persone con un atteggiamento più aggressivo in sala pesi potrebbero prenderlo come un invito ad arrivare sempre al limite, quelli un po’ meno motivati invece come scusa per fare meno del necessario, mentre il principiante un po’ troppo familiare con la lettura di riviste patinate d’oltreoceano magari sta già pensando al famoso “allenamento istintivo” dei bodybuilders professionisti.

Una difficoltà oggettiva è poi quella, riscontrata da chi si allena senza la supervisione di un tecnico o di un training partner più esperto, di giudicare in tempo reale il proprio stato di forma.

Presentiamo quindi degli esempi di allenamento che, nella loro stessa struttura, prevedono quindi un sistema di regolazione del lavoro; le soluzioni adottate differiscono leggermente, ma il principio base è simile.

 

ESEMPI PRATICI

The Power Look

Forget everything you ever heard about pumping and flushing and cramping and the rest of it.

Start with squats. Do a light set to warmup and then jump heavy. Do three reps. Add weight and do three more reps. Keep adding weight for each set until you can’t make three reps. When you bog down add a few more pounds and do a couple of singles at that weight. Don’t count the sets. Do as many as you feel like. Let your energy be the judge on that day.

Do bench presses next. Same way.

Rowing. do five sets of five. Start with your heaviest weight and drop down about ten pounds for each set. Use your legs a bit and pull hard.

The last exercise is progressive pulls. You start with power cleans. Start light and work up. Do three reps each set and when you can’t make three then keep increasing the weight and do high pulls. Keep adding weight and when you can’t make three high pulls start doing deadlifts. Do three reps in the deadlift until you can’t make three. Add more weight and do a couple of singles.

Let your energy be the judge.

L’introduzione è troppo lapidaria per smorzarla con presentazioni varie, ma ora è il caso di spendere qualche parola per contestualizzare il programma. Si tratta di una scheda tratta dal libro The Complete Keys to Progress, che raccoglie gli articoli scritti da John McCallum per “Strength and Health Magazine” dal 1965 al 1972.

Per chi ne avesse bisogno, ecco  la traduzione:

Dimenticate quello che avete sentito sul pompaggio, la “saturazione” [muscolare], i crampi e tutto il resto.

Iniziate con lo squat. Fate una serie leggera per riscaldarvi e poi iniziate a caricare. Fate tre ripetizioni. Aggiungete peso e fate altre tre ripetizioni. Continuate ad aggiungere peso ad ogni serie finché non riuscite a fare tre ripetizioni. Quando sarete arrivati, aggiungete qualche kg e fate un paio di singole a quel peso. Non contate le serie. Fatene quante ve ne sentite. Lasciate che la vostra energia [forza] sia il giudice in quel [determinato] giorno.

Dopo, fate la panca piana. Allo stesso modo.

Rematore [bilanciere]. Fate cinque serie da cinque. Iniziate con il carico più pesante [5RM] e togliete circa 5kg ad ogni serie. Usate un po’ le gambe e tirate forte.

Il prossimo esercizio è la “tirata progressiva”. Iniziate con il power clean [girata in mezza accosciata]. Iniziate con un carico leggero e aumentate. Fate tre ripetizioni per ogni serie e quando non riuscite [più] a farne tre, aumentate il peso e fate high pulls [tirata olimpica]. Continuate ad aggiungere peso, e quando non potete fare tre tirate, iniziate a fare stacchi da terra. Fate tre ripetizioni di stacco [continuando ad aumentare il carico da una serie all’altra] finché non riuscite a farne tre. Aggiungete un po’ di peso e fate un paio di singole.

Lasciate che l’energia sia il giudice.

Come ogni traduzione, anche la mia è un po’ un’interpretazione del testo proposto, ma il procedimento è chiaro: si tratta di un ramping (cioè di un aumento progressivo del carico) in cui il carico massimo non è predeterminato, per cui il giorno in cui si è più in forma si faranno più serie, arrivando a carichi più elevati, mentre nei giorni meno brillanti volume e tonnellaggio saranno ridimensionati. Le frasi sottolineate sono la chiave di volta per capire l’intero procedimento.

Faccio notare come la routine proposta sia molto interessante e ancora attuale, sebbene vada datata verso la fine degli anni ’60 o i primissimi ’70. Personalmente sostituirei il rematore con le trazioni, e porterei a cedimento solo tecnico le triple. L’autore non precisa l’entità degli aumenti di carico da una serie all’altra, e questo lascia un ulteriore margine di personalizzazione: in una prima fase del ciclo di allenamento (accumulo), infatti, è preferibile un volume maggiore, facilmente ottenibile effettuando piccoli incrementi di carico tra una serie e l’altra (dell’ordine del 2.5-3% del massimale), mentre in fasi di intensificazione basterà aumentarne l’entità (5-6%) per diminuire il volume (e quindi permettere di dissipare la fatica accumulata) pur mantenendo una buona confidenza con il carico. L’esperienza, poi, permetterà aggiustamenti più raffinati.

Il breve scritto originale non precisa quante volte a settimana ci si debba allenare, ma altrove lo stesso autore, quando consiglia delle full body, prevede due-tre allenamenti, enfatizzando la necessità di un buon recupero tra una seduta e l’altra.

Sulla falsariga del progressive pull è facilmente immaginabile anche un progressive push, che parta da un lento avanti “strict” (cioè senza nessuna spinta di gambe) e passando per un push press (con spinta di gambe) arrivi al jerk (spinta di gambe + mezza accosciata o sforbiciata per infilarsi sotto al bilanciere).

Oppure, sempre sul lavoro di spinta, è ipotizzabile la sequenza “lento avanti > panca inclinata > panca piana”, che in effetti è contemplata in un programma di Christian Thibaudeau chiamato High Performance Mass. L’ho provata e fatta provare, e contrariamente a quanto si possa pensare, il lavoro precedente non incide molto su quello successivo: con mia grande sorpresa, i carichi raggiunti sulla panca piana non erano di molto inferiori a quelli verosimilmente raggiungibili con un MAV3 di sola panca, tanto per citare un protocollo simile.

The Russian Bear (reloaded)

Se prima abbiamo visto un “nonno” dei programmi ad autoregolazione, adesso vediamo uno “zio”, creatura del russo più occidentalizzato del fitness bussiness, tale Pavel Tsatsoulin, troppo famoso per essere presentato.

Nel suo libro Power to the People, pubblicato nel 2000, dopo aver illustrato il programma omonimo, basato su una progressione lineare, due serie da cinque su press e stacco, Pavel ne presenta una variante volta all’ipertrofia, capace di trasformare il praticante in un vero orso siberiano. Esagerazioni a parte, il protocollo è interessante: dopo il 2×5 (con la seconda serie al 90% della prima), si abbassa ulteriormente il carico di un 10% e si continua con le serie da 5 “fino a che si riescono a fare cinque ripetizioni con l’80%”.

Bene, è già un inizio di autoregolazione, ma si può fare di meglio: anziché infatti basare la serie pesante su una progressione determinata, sia essa lineare o a step o a onda, come specificato nel libro, si potrebbe pensare ad un ramping in serie da 5, fino al cedimento tecnico. In questo modo si ovvierebbe ad una delle critiche più sensate mosse al Russian Bear, cioè l’eccessiva perdita di confidenza con carichi consistenti.

Il back off (cioè le serie più leggere che seguono) va benissimo per com’è impostato nella versione originale: una serie al 90% del carico raggiunto nel ramping e poi un massimo di serie con l’80%, mantenendo i recuperi brevi (un minuto dovrebbe bastare).

Restando fedele all’impostazione minimalista di Pavel, si potrebbe pensare a soli due esercizi a seduta (stacco da terra e lento avanti, o squat e panca), due-tre volte a settimana.

L’importante è finire

Una precisazione sul “cedimento (o deterioramento) tecnico”, punto di arrivo dei protocolli finora presi in esame: si tratta di quel momento in cui il carico e la fatica accumulata rendono impossibile il mantenimento dei capisaldi della tecnica di esecuzione corretta. In pratica, negli esercizi fondamentali:

  • Squat e stacco da terra: il sedere si alza prima delle spalle o si perde la lordosi lombare durante la fase concentrica;
  • Panca: non si riesce a tenere le scapole addotte o la traiettoria del bilanciere non è quella ottimale;
  • Lento avanti: si inarca la schiena per usare il pettorale a sostegno degli altri muscoli affaticati;
  • Trazioni: si chiudono le spalle e si inizia a tirare più di braccia che “di dorso”;

Come si vede, non è il cedimento concentrico tanto usato (e forse anche abusato) nel bodybuilding tradizionale: se non siete sicuri di poter completare una ripetizione con buona tecnica, non iniziatela neanche. Questo non vuol dire non impegnarsi o non sforzarsi, significa impegnarsi e sforzarsi in maniera corretta, cioè pensando prima di tutto alla qualità esecutiva, a tutto vantaggio della stimolazione muscolare e della sicurezza articolare: non dimentichiamo che negli esercizi multiarticolari, i primi a “cedere” sono i muscoli stabilizzatori, non gli agonisti, per cui è del tutto ragionevole interrompere una serie di squat quando i lombari non riescono a tenere la schiena allineata, o una serie di panca quando romboidi e trapezio medio-basso non ce la fanno a tenere le scapole al loro posto e una parte del carico grava sulla cuffia dei rotatori.

 

CONCLUSIONI

Quanto sopra esposto sulla cedimento tecnico rende meglio l’idea sull’entità di lavoro prevista: se infatti pensassimo di dover spingere fino al cedimento vero e proprio i due ramping, il lavoro successivo sarebbe improponibile. Dopo una tripla tirata al limite, infatti, aumentare un po’ il carico e fare un paio di singole sarebbe un’impresa dall’esito aleatorio (per lo meno per chi ha un livello almeno intermedio), e allo stesso modo, serie da 5 con l’80% del 5RM “no pain no gain” e recuperi brevi se ne fanno poche, e quelle poche che si fanno sono anche bruttarelle da vedere.

Se vogliamo ragionare in percentuali di carico, possiamo stimare quindi che la tripla più pesante nel Power Look corrisponderà ad un 5RM (cioè un carico con il quale sarebbe possibile fare al massimo 5 ripetizioni prima di crollare sotto il bilanciere), e questo spiega come sia possibile (e anche proficuo) fare un paio di singole con un carico leggermente maggiore; si tratta in fin dei conti di un 2×1 con il 95% del massimale giornaliero.

Nel Russian Bear si arriverà, bene che vada, ad un 7-8RM, per cui le serie successive saranno “leggere” in senso assoluto (stimiamo un 60-70% sull’1RM ipotetico); da qui il consiglio di mantenere i recuperi brevi ed utilizzare questa fase del protocollo per accumulare fatica, migliorando così la capacità di lavoro e fornendo comunque uno stimolo ipertrofico.

Nella seconda parte dell’articolo analizzeremo alcuni programmi più moderni, che – più o meno direttamente – risentono dell’influenza del metodo bulgaro di Ivan Abadjiev: un ramping proposto da Christian Thibaudeau, una recentissima evoluzione del 5/3/1 di Jim Wendler e un’applicazione pratica del metodo di John Broz al powerlifting.

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“AUTOREGOLAZIONE: BULGARIA-USA ANDATA E RITORNO” – clicca qui

 

Note sull’autore

Fabio Prescimone, nato a Pisa nel 1975, siciliano di famiglia e cresciuto a Messina. Laureato in lingue straniere, Istruttore di I livello di fitness e bodybuilding MAF Italia (Associazione affiliata al sistema CSEN – Centro Sportivo Educativo Nazionale) e Istruttore FIPL di Powerlifting di 1° e 2° livello. Atleta del team di powerlifting “Joypowerlifting” di Pietrasanta (LU). Autore e amministratore del blog: www.fabiopersonaltrainer.it