a cura di Ado Gruzza

Partiamo dalla base. Anzi: ripartiamo dalla base. Ci sono concetti che crediamo siano scontati: invece, tanto più nelle realtà poco disciplinate come i Social network (che per inciso hanno fatto un gran bene alla diffusione della cultura alta dell’allenamento), non lo sono affatto.

Possiamo usare diverse terminologie, però, in buona sostanza, l’allenamento della forza si divide in due macro categorie:
a) GENERALE – In pratica: il lavoro sulla forza massimale. Aumentare la capacità di generare contrazioni di altissimo livello.
b) SPECIALE – Quelle esercitazioni che hanno tempi e modalità (soprattutto tempi) simili al gesto di gara.

Pensiamo ad un lanciatore (o gettatore) del peso: forza generale = esercizi per arti o tronco. Forza speciale: lanci con attrezzi leggermente appesantiti o lanci di attrezzi di diversa natura.
Qualcuno inserisce in questo contesto anche lavori pliometrici, sprint speciali e tutta una serie di drills atti al miglioramento della capacità di contrazione in tempi simili a quelli di gara.

Non ho mai pensato una sola volta nella mia vita che a un atleta serva solo la forza massimale; non ho mai creduto, nemmeno per un solo secondo, che nella preparazione di atleti di qualunque sport sia sufficiente il lavoro di forza generale o massimale. Queste sono semplificazioni e chi ha letto anche solo la metà di un mio articolo, ed abbia una capacità cognitiva sufficiente a cogliere le sfumature, sa benissimo quanto io odi le semplificazioni.

La forza serve e tanto: a qualunque atleta, a qualunque soggetto. Un preparatore del rugby, mio amico, poco tempo fa mi parlò di un concetto che credo, in tutta onestà, di non aver colto a pieno e che “profuma” di intelligenza: la distinzione della forza in diverse categorie è un concetto antiquato (e qua lo seguo forte e chiaro) e non solo; anche le abilità coordinative sono una tipologia di sviluppo della forza.

Ok: concetto complesso, da rogo delle streghe in certi ambienti. Di questo vi resti che la forza è fondamentale in ogni ambito dell’essere umano in relazione allo spazio ed allo spostamento, tanto più negli sport.
Però non sfugga che l’allenamento della forza è tanto più utile quanto l’atleta ha EFFETTIVAMENTE bisogno di forza.
Ti serve più forza? Se la risposta è sì, indipendentemente dallo sport che pratichi, devi elaborare un protocollo ottimale (assolutamente aspecifico) che ti permetta di migliorare la forza, appunto, senza fare danni! Senza stressare il sistema in generale, effetto secondario tipico della metodologia classica.
Il lavoro di forza speciale è un’altra cosa.
Oggi ragazzi qualunque in salute hanno risultati che anni addietro avrebbero richiesto, come minimo, qualche bel ciclo di farmaci anabolizzanti per essere pareggiati.  Il livello medio si è alzato a dismisura: il mondo della forza è cambiato semplicemente perché è cambiato il mondo. La metodologia dell’allenamento della forza si è modificata così tanto anche perché era quella che meno di tutte, nel nostro Paese, godeva di rispetto ed attenzione. Non è difficile asserire che in Italia manchi una cultura di allenamento della forza massimale.

In una bellissima “lecture” presso un’ Università Americana, il dottor Arbeit disse: “Potete fare quello che vi pare, però senza un lavoro di forza massimale (o generale, o aspecifica) non migliorerete neppure la forza speciale”. Ecco: questo vale, ovviamente, anche per lo squat.

Partendo dal presupposto che per anni sono state utilizzate, in moltissimi ambiti, metodologie che hanno avuto dell’incredibile!

SQUAT, IL MENO COMPRESO DI TUTTI.

Io non ho ancora capito, effettivamente, come si fa lo squat. Non ho ancora trovato la linea perfetta, la chiave di lettura perfetta. La sto cercando. Ogni settimana cambio qualcosa nella maniera in cui insegno. Ogni settimana mi confronto con i miei errori, con le incalcolabili varianti che ogni soggetto porta con sé.
Non potete nemmeno immaginare quale sia il mio livello di dedizione, di attenzione, di ricerca della “giusta visione”: ci lavoro come un pazzo. Non sono “arrivato” neanche per sogno; però, come scritto nei foglietti dei Baci Perugina: “L’amore per il percorso rende la strada così magica”.
Non l’ho ancora capito però vedo che mediamente chi parla di squat non ne ha, addirittura, la più pallida idea.

Se non hai questo percorso, come fai a cogliere quella mole immane di sfumature che sono poi determinanti per capire, anche solo minimamente, l’alzata?
Senza contare che “vedere una alzata” è una dote genetica esattamente come l’essere veloci o essere alti.

Dire che non esiste una sola maniera di fare squat è un’affermazione sia vera che completamente falsa.

Da quando abbiamo cercato di codificare questa alzata, analizzandone traiettorie e possibili approcci didattici, abbiamo visto come buona parte degli appassionati si sia inevitabilmente avvicinata a questa maniera di allenare i sovraccarichi.
Semplicemente perché ha dimostrato di funzionare e presenta una logica molto aderente a quella che oggi sembra essere la realtà. Insomma: quella più vicina al meglio di ciò che oggi conosciamo. Arriverà, prima o poi, un “ragazzino” che scriverà una nuova pagina tecnica magari in grado di rivoluzionare tutto, dalla testa ai piedi. Arriverà senza dubbio: perché questa è la storia di ogni attività umana.
Se analizzate un lanciatore del disco d’élite con una tecnica scarsa ed uno con una tecnica eccelsa (ricordo a questo proposito il video postato su Facebook dall’atleta lanciatore Antonio Gardelli qualche settimana fa), quello scarso avrà discontinuità e variazioni rispetto a quello eccelso che saranno spesso visibili a velocità normali solo a tecnici esperti e traiettorie che si discostano tra loro di millimetri. Non centimetri: millimetri!

Con Paolo “Ironpaolo” Evangelista, molto più estremista (in senso buono) nella realtà di quello che può apparire dal modo in cui scrive, commentando le analisi di un preparatore, ci trovammo a riflettere su come nell’allenamento con i pesi, spesso, venga considerata un individualismo o una peculiarità tecnica una traiettoria dell’attrezzo che si discosta da un’altra di 5 o 10 cm da quella ottimale. Roba da matti!

Per anni si è fatto lo squat “come veniva comodo” o come si era insegnato per misericordia tramandata. Non sempre si è stati in grado, mentalmente, di sviluppare le proprie esperienze attraverso le nuove competenze tecniche. Piuttosto si sono trovate risposte facili che però, a mio modo di vedere, non hanno sufficiente forza per stare in piedi.

A volte, di fronte all’impossibilità di rapportarsi gli uni con gli altri o alla diversa esperienza fatta, la chiave di lettura è stata:
“Sì, Io faccio squat per migliorare il salto”
“Sì, ma io faccio squat per lo sci”
“Sì, ma io faccio squat a gambe strette per stimolare i quadricipiti”
“Sì, ma io faccio squat a gambe large per aumentare la velocità”
“Sì, ma io faccio squat per migliorare il salto del fosso”…

Ok, basta. Usiamo la testa, per una volta!

Vero, esistono tanti modi di fare squat: frontale, high bar, a gambe larghe, strette, Zercher (no, quello no, non lo considero nemmeno a pagamento!), a braccia alte, eccetera eccetera.
Però c’è solo uno squat valido: quello che ti permette di generare l linea di forza ottimale!
FINE DEL CAPITOLO. Non giustificatemi con fini astrusi uno squat che fa schifo. Se “sculate”, rimbalzate o semplicemente generate piccoli compensi per uscire dagli Sticking Point (che non tutti sono in grado di vedere), beh quello squat, che sia a gambe strette, larghe, depilate o fatte con i tacchi a spillo rubati a vostra madre, semplicemente, non è buono: non è cioè ottimale al fine di migliorare la capacità di generare alti livelli di tensione.

Perché fate squat? Per migliorare la forza, giusto? Allora perché farlo in maniera non ottimale?

DIDATTICA

Ci sono tecniche per imparare a generare ottime linee di forza per chi non ha le leve di Oleg Perepetchenov. Queste sono quelle che i nostri tecnici Federali FIPL insegnano, ognuno con la propria logica individuale. Se hai le leve di Oleg, non perdere tempo: tieni i piedi piuttosto stretti, scendi e stai più dritto che puoi. Tutto fatto.
Se non sei Oleg, facendo così non ci “cavi fuori” nulla. Poi, in realtà, lo stesso Perepetchenov, oltre alla innata struttura, ha lavorato fin da ragazzino per costruire una massa muscolare così efficiente e prorompente, e fatto stretching dalla stessa età per costruire avere un controllo motorio ottimale e una mobilità articolare quasi perfetta.

Ci sono metodologie di approccio allo squat che sono semplicemente più efficaci per apprendere il gesto e mettere nel cassetto tutte le cattive abitudini motorie sviluppate negli anni. Ecco: queste sono le modalità didattiche. Sulle quali, in Italia (lo dico senza imbarazzo e con cognizione di causa) siamo (in FIPL) ad altissimi livelli in ambito internazionale. Nessuna Federazione Internazionale di Powerlifting, tanto per dire, ha un corso Istruttori delle dimensioni numeriche di quello Italiano e che sia, almeno nell’edizione Base, aperto a tutti. La didattica è strutturata per venire incontro alle esigenze anche dei semplici appassionati, quelli non nati per fare Pesistica o Powerlifting e questo ci è stato riconosciuto anche in ambito internazionale.

Alla fine quello che conta, per me e penso per chiunque si alleni con un minimo di “grano salis”, è sempre il risultato.  Arrivateci come volete, con la didattica che più vi aggrada: però arrivateci! Se il risultato è uno pessimo, anche con 200 Kg, sempre pessimo sarà.
Ecco la Evstyukina:, passata, a mio giudizio, da una didattica sullo squat non ideale. Lo noto da alcuni particolari. Però il risultato è una linea di forza decisa e puntuale:

Come dire, ha ragione lei. Tra l’altro ci sono altri video in cui “maltratta” 200 Kg. Ragazzi: è una donna, nemmeno tanto male tra l’altro…

Avete trovato questa linea? Perfetto. Non l’avete trovata? Allora ci sono tante cose da cambiare. E, da quello che vedo introno a me ogni giorno, la seconda ipotesi è tremendamente più probabile della prima.

Inoltre l’analisi di questi concetti è molto più interessante a livello di preparazione atletica rispetto al Powerlifting agonistico puro nel quale, tutto sommato, vediamo ancora soggetti “tirare” ottimi carichi con tecniche davvero mediocri. Anche se più si va su soggetti natural e più questa percentuali cala drasticamente.

Per chiudere: la tecnica dello squat non deve dipendere da che sport fate: ma dalle leve e dal tipo di attivazione dell’atleta.

STOP!

Perché la forza deve sempre essere sviluppata in maniera aspecifica.
So che ancora buona parte del mondo della preparazione atletica usa metodologie legate al “Faccio mezzo squat perché salto così!” o a qualunque altra forma di specificità del sovraccarico, sebbene sia contro quello che recenti moderne analisi dimostrano e, a mio parere, al puro buon senso.

Il punto è che ci sono tantissimi bravi preparatori con i quali, avendo più tempo libero, pagherei (letteralmente) per aver un confronto e dai quali avrei, senza dubbio, molte cose da imparare. Molte: e lo dico con la massima convinzione. Molte cose: però non come fare squat. Lo squat lo si impara dai tecnici. Per imparare a sollevare pesi vado da Dietmar Wolf: non da un tecnico che si occupa di pallavolo, unicamente perché ha troppo poca esperienza in materia. Addirittura l’esperienza è così specifica da essere perfino legata al livello: Boris Sheyko, fantastico durante il suo seminario tecnico nella nostra palestra di Parma con i migliori atleti della nostra squadra, era quasi impacciato con i principianti e gli amatori presenti.

Allo stesso modo non ho l’ambizione di voler insegnare ad un maestro di ginnastica su come lavorare sulla mobilità e il corpo libero. Ho delle idee: però non vorrei mai imporle.

Se mi confrontassi con Carlo Buzzichelli o un velocista agonista su come correre più veloce, questo confronto non farebbe crescere nessuno degli interlocutori, semplicemente perché io avrei solo idee semplicistiche in materia. Potrei avere 175 di QI e in ogni caso sparerei delle gran corbellerie. Per capire in profondità un evento devi viverlo in profondo. Però chi “ha fatto due pesi in gioventù” ha sempre quella profonda e radicata sicurezza in se’ di poter essere un interlocutore assoluto, malgrado sia meno preparato sui pesi di quanto io lo sia sul salto con l’asta.

Uno storico casaro ultra settantenne di Parma pochi giorni fa mi disse, nella sua semplicità, una frase che mi ha colpito molto e che la dice lunghissima su cosa sia la passione e la competenza.  Mi ha detto (testuali parole): “Mi a morirò sensa saver c’me s’fa al formaj”; questa piccola perla racchiude in sé tutto il ragionamento fatto fin qui.

Ciò che ci muove verso il “cuore” della conoscenza è la passione, il desiderio profondo, radicato, quasi violento, direi, di capire cosa c’è dentro un evento tutto sommato normale: che sia una semplice accosciata con bilanciere sulle spalle o fare un formaggio che alla fine, si fa da mille anni.

Io non ho un atleta in palestra che esegua lo sqaut alla stessa maniera dell’altro, sebbene siano tutti powerlifter o bodybuilder: chi “squatta” a bilanciere alto, chi basso; chi guardando in alto, chi in basso; chi iperestende la schiena altrimenti è spacciato, chi può permettersi di “perderla” un po’ durante l’alzata; chi “squatta” stretto e verticale, chi largo e più orizzontale. Tutti diversi però, bene o male, tutti comunque “in spinta”, perché è l’unica cosa che mi interessa.

Mettete in vostri atleti “in spinta” e vi dirò che fate uno squat fantastico. Non fatelo e, alla meglio, non dirò niente per non essere scortese.

Nota non necessaria: i più fini avranno notato come chi lavora nel Powerlifting attrezzato tendenzialmente svilupperà linee migliori; il discorso è lungo e complesso però vale la pena sottolineare che l’attrezzatura di supporto non ti solleva il bilanciere, ma al massimo ti struttura una linea di spinta ottimale. In questo video il concetto è ben evidente:

Costringendoti a linee ottimali, inevitabilmente te le insegna.

Di segurio una lista, estrapolata da Youtube, di squat molto diversi tra loro eppure tutti molto efficaci.

Ilya Ilin:

Al minuto 1.10 un atleta cinese, categoria 56 Kg:

Lu Xiaojun con una fantastica linea di spinta:

Altri due atleti di élite della scuola cinese:

Aita:

Re Konovalov:

Perepetchenov, recordman nello slancio:

Salimi:

Overhead squat:

Dabaya, un front squat classico:

Come avrete notato gli alteti cinesi, maniaci della tecnica, “squattano” sempre di più in maniera simile a come da anni cerco di proporre: indipendentemente dall’altezza del bilanciere, massimo controllo in basso e tenuta totale. Niente ATTG (Ass To The Grass, “sedere a terra” in gergo) o visioni particolaristiche. Così come il frontale di Ilyn.

Alla fine, sebbene sia un incorreggibile chiacchierone alle cene in compagnia, per me contano i risultati.
Il lavoro qualitativo ha elevato all’ennesima potenza, a livello nazionale, i risultati di persone originariamente non predisposte allo strength training, portando alcune di queste a livelli “top” elevatissimi. Numeri alla mano.

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Vi ricordiamo che Ado Gruzza sarà tra i docenti di “Building a Strength Expert” – 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme al Dott. Federico Fontana, al Dott. Fausto Caruana e, direttamente dagli USA, due ospiti di eccezione: per la prima volta in Italia con AIF il coach JOHN BROZ, il “mitico” allenatore Americano che ha formato le sue conoscenze al fianco di Antonio Krastev e con la scuola di Ivan AbadjievMIKE TUSHCHERER, che presenterà in ESCLUSIVA italiana il suo innovativo approccio didattico, il Reactive Training Systems (RTS).

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