a cura di Ado Gruzza.

 

Dove dobbiamo impugnare?

Partiamo da un presupposto fondamentale: l’osservazione.
Prima osservazione.
Se diamo un occhiata ad un ragazzo naturalmente forte, però poco allenato nello specifico o allenato in modo casuale, passatemi il termine, noteremo che nella stragrande maggioranza dei casi costui userà una presa molto più stretta di quello che possiamo vedere in una competizione internazionale di altissimo livello.
Sul perché, ci arriviamo.

Seconda osservazione.
Ad una competizione internazionale di Powerlifting, tendenzialmente gli atleti usano la presa più ampia possibile.

Terza osservazione.
Nelle gare Raw, sempre a livello internazionale, troviamo atleti che usano prese al limite, ma anche atleti che usano prese decisamente più strette. Spesso i primi gareggiano anche attrezzati o si allenano in realtà agonistiche consolidate.

Quarta osservazione.
Gli stupefacenti atleti Paralimpici di livello internazionale usano tendenzialmente una presa più stretta di quella che vediamo nel panorama IPF.

Ecco, allora, che presa dobbiamo usare? E quale presa usare a seconda del nostro percorso agonistico?
Un atleta RAW dovrebbe spancare un po’ più stretto?

Fondamentalmente l’ampiezza della presa va a determinare il ‘come’ utilizziamo i nostri muscoli ed il come applichiamo la forza all’attrezzo. Istintivamente è chiaro a chiunque che utilizzare una ampiezza più elevata vada più a carico del pettorale, mentre stringendo, il grosso del lavoro si sposti sulle spalle e sui tricipiti.
Non trovate, però, che questa sia una visione un pelino limitata della cosa?
Certamente, se faccio 10 ripetizioni di panca stretta, alla fine sentirò i tricipiti gonfi come pompelmi, però, questo è più un effetto dato dalla limitazione che da una attivazione superiore. Come dire, se faccio squat a piedi uniti, sento il quadricipite scoppiare, però non è che stia avvenendo qualcosa di indimenticabile. Sto, in qualche modo, impedendo alle mie strutture muscolari di interagire in maniera ottimale.

Ciò non toglie che, tutti quanti noi – vedi osservazione numero uno – tendiamo ad usare una presa stretta, quando siamo principianti. Che significato ha questa cosa?
Ho sempre pensato che usare una presa stretta fosse un gesto protettivo e di autoaccomodamento.
Un po’ come se non siete capaci di giocare a calcio e per tirare forte, tirate di punta, o se non siete capaci di giocare a basket e per tirare a canestro spingete la palla con il palmo, o non siete capaci di fare getto del peso e tirate il peso come un sasso usando più il braccio che il tronco.
Quasi sempre, nello sport, il gesto più efficiente è quello che non ci viene naturale e sul quale dobbiamo lavorare, lavorare, lavorare, ripetere, ripetere, ripetere.
L’ho detto altre volte: l’uso dell’attrezzatura da Powerlifting ha costretto tutti quanti a ripensare la panca piana in ottica pettocentrica. Perché la maglia da panca è fondamentalmente un potenziatore del pettorale, avvicina gli omeri (prometto, non vado oltre sulla fisiologia) e ci ha insegnato ad aprirci mentre scendiamo e restare aperti mentre spingiamo. Il che è cosa assolutamente buona.
Ci ha costretti ad usare una presa larga. E abituandoci ad usarla, ci siamo accorti che questa è efficiente, permette un’ottima sinergia muscolare tra petto, tricipiti, spalle e dorsali. Non è che spancando larghi si lavori solo con il pettorale. Semplicemente il pettorale diventa la miccia, il motore primario per sviluppare forza contro l’attrezzo.

Per questo, didatticamente parlando, la maniera migliore per imparare l’esercizio di distensione su panca è senz’altro quello di usare una presa moderatamente larga.
Quanto larga? Per un soggetto di altezza media, diciamo da 165 cm fino a 185 cm, un buon consiglio è quello di stabilizzarsi in questa fascia:
il solco tra anulare e medio sulla linea degli 81 cm, fino a
indice sulla linea degli 81 cm.
Trovate qualcosa di confortevole in questa zona di azione. Abituatevi a rendere il pettorale attivo.
Come ripeto spesso, il pettorale è uno di quei muscoli duri da accendere. Istintivamente lo bypassiamo, cerchiamo muscoli che ci sono più comuni e più attivi nella vita di tutti i giorni, come le spalle. Da qui si spiega anche la tendenza a cercare traiettore a J, piuttosto che ad anteporre le spalle durante l’alzata. Primissima causa di tutti i fastidi alle spalle che possiate avere. Però questo è un altro argomento.

A questo punto abbiamo chiarito la seconda osservazione.

Come mai, però, troviamo atleti fortissimi, che utilizzano una presa non consona e mediamente stretta?
I motivi possono essere tanti, e non credo sia saggio evitare di prenderli in considerazione.
Non mi interessano in questo frangente le motivazioni prettamente fisiologiche, mentre mi interessa la sostanza della questione.
Ci sono atleti che hanno una grandissima e innata capacità di attivazione. Costoro sono quelli che riusciranno nella vita a raggiungere carichi elevatissimi e calcare le massime pedane internazionali. Per fare Powerlifting ad un certo livello, ci devi essere nato. Per quanto abbiamo sotto gli occhi tanti casi di gente non portata che con dedizione ferrea, motivazione, e allenamenti di qualità, raggiunge risultati quasi impensabili.
Tornando ai superman, nati per spingere e per tirare: costoro hanno una grandissima capacità di aprire il gas sotto carico. Questo li ha resi in grado di sviluppare a loro vantaggio movimenti che non sono efficaci per la maggioranza delle altre persone.
Si dice, inter nos, che un allenatore vada giudicato dagli ultimi tre atleti che allena, perché molto spesso, in campo internazionale, capita di vedere una differenza mostruosa tra il migliore di una nazione ed il secondo. La capacità di ripetere buone performance fa di una scuola una grande scuola. Per questo l’individuo ‘particolare’ sviluppa nel tempo un percorso che è poco ripetibile.
In questo stadio, prende importanza quella capacità di autosviluppare un gesto ‘ottimale’ che l’atleta riesce a riprodurre nel  corso degli allenamenti e del tempo. Cosa tanto più vera quanto più l’atleta è nato per quel determinato sport. E anche questa cosa ci è enormemente chiara se guardiamo nel nostro piccolo.
Rimangono gli atleti Paralimici. Come molti di voi, rimango letteralmente esterefatto di fronte alle prove pazzesche che mostrano i panchisti Paralimpici.

La prima volta che vidi una di queste gare non credetti ai miei occhi. Di fatto è l’unico sport in cui gli atleti con handicap hanno risultati superiori ai normodotati. Pur considerando il fatto che il peso di un normodotato è assai differente dal peso corporeo di un paralimpico, non possiamo fare altro che incuriosirci e studiare il loro modo di affontare l’esercizio.
Parliamo di carichi ben oltre i 220 kg per uomini di 67,5 kg. Roba al limite dell’incredibile. E immagino siano testati come tutti gli atleti olimpici.
Con i ragazzi dell’AIF ci siamo intestarditi ad analizzare quale fosse, mediamente, la modalità di distensione di questi superman.
Vi consiglio caldamente di dare un occhio al video della Nazionale Egiziana in allenamento. Fin troppo evidente che c’è una scuola consolidata alle spalle di queste alzate.

Egypt Paralympic Champions

Il primo fattore che abbiamo notato è dato dal regolamento. Come spesso accade, un regolamento rigido, crea grandi atleti, mentre un regolamento lasso crea roba poco valutabile.
Il regolamento internazionale Paralimpico obbliga questi atleti ad avere una fase concentrica (la risalita) non solo simmetrica (una stortura l’ultima modifica al regolamento IPF per me) anzi, ancora di più vieta in qualche modo di avere avere sticking point. Il rallentamento evidente è un nullo. Questo li ha costretti a lavorare veloci e di qualità. Cosa che ha condizionato all’eccellenza.
Secondo fattore. Non avendo, evidentemente, il supporto delle gambe, ci è sembrato che l’alzata sposti l’attenzione dal gran dorsale al trapezio. Costoro sembrano decisamente puntare sul trapezio, spostando l’alzata più in alto, verso la faccia.
A questo punto con carichi limite, a circa 10 cm dall’uscita dal petto (fatta a petto alto) si nota quasi sempre un leggero allargarsi dei gomiti ed una spinta finale, rabbiosa, simile ad una vogata, mai verso la faccia e sempre in linea verticale. In questo frangente una presa leggermente più stretta diventa quasi necessaria, e una buona maggioranza di questi, infatti, adottano questa scelta, forse, quasi obbligata.
Questo ci porta a considerare che sebbene una presa larga si possa considerare la scelta didattica ottimale, esistono eccezioni e la ‘verità assoluta’ deve ancora essere analizzata e compresa al cento per cento.

Un giochino da provare: eseguite distensioni su panca piana. Partite da un peso veramente basso, tipo 60 kg se il vostro massimale è attorno ai 120 kg.
Fate triple con fermo molto evidente su ogni alzata, facendo saliti di 5 o 7,5 kg, in  modo da fare dalle 5 alle 7 serie. Fermatevi quando l’ultima delle tre alzate inizia a rallentare. Un 3MAV, in pratica.
A questo punto, ripartite dal peso iniziale (mi raccomando deve essere veramente leggero, arrotondate i carichi vero il basso) e fate lo stesso percorso tenendo una presa medio stretta.
Al salire del carico, date ascolto con grande attenzione alle vostre reazioni muscolari.
Probabilmente vi sentirete molto bene nelle prime serie di panca stretta, meglio che con la presa larga. Tenete presente che sarete preattivati dal carico alto precedentemente fatto. Vedete qual è la vostra reazione, filmatevi di profilo. Analizzate sensazioni e sovrapponete questo al video e magari ai commenti dei vostri compagni d’allenamento.
Fatta questa seconda onda. Ripartite di nuovo con il peso iniziale, stavolta tornando a presa larga e facendo una sola ripetizione, ripercorrete ancora tutto il percorso fatto nelle due onde precedenti.

Ecco, avrete una idea, personale e in qualche modo didattica, di come il vostro corpo reagisca ai vari carichi.
Con assetti differenti. Quali muscoli entrino più o meno in gioco e, perché no, che fastidi articolari possiate sentire.

Buon allenamento.

 

Ado Gruzza sarà relatore il 6-7 Dicembre a Reggio Emilia presso l’evento: